MARIO PUCCINI SCRITTORE DI FAMA NAZIONALE

 

Personaggi di ieri


                                                         MARIO PUCCINI

                                       SCRITTORE DI FAMA NAZIONALE


Da un articolo di Terra Lontana del 1988 a cura del Prof. Aldo Pellegrini


E’ questi un nome che non dovrebbe destar meraviglia nel pubblico dei nostri lettori ben sapendo quanti “Puccini” vivono a Ghivizzano, dove, però, pochissimi sanno che una famiglia fra le tante dei “Puccini” che sottoscrissero il proprio contributo per la ricostruzione del campanile (24 marzo 1854) c’erano, insieme al Alberto Puccini, altri 15 capi-famiglia.

In quest’elenco Alberto s’impegnò per la somma di lire sette e soldi dieci e fu a confronto una delle più alte. Da lui intendiamo partire per le origini ghivizzanesi del soggetto. Figlio di Pellegrino, Alberto, nello stesso anno 1854, a 26 anni si era sposato con Zita Lucchesi di Leonardo “in faciem ecclesiae”, ministro il parroco pro-tempore G.B. Cheli.

I suoi figli registrati nello stato delle anime del 1856 degli anni successivi furono Candida, nata l’8 gennaio 1855, Pellegrino, nato 28 marzo 1856, Giovanni Vincenzo nato 9 aprile 1862, Giovanni Pietro nato 29 giugno 1964. Dallo stato delle anime si apprende che il capofamiglia partì per l’America, dove rimase fino al 1861.


Nel 1869 Pellegrino (13 anni) era in seminario, ma nel 1873 era rientrato in famiglia a Ghivizzano dove si sposò nel 1880 con M.Teresa del fu Lor Raffaelli. Da lui nacquero i figli Girolamo e Anita, sposata Berni in fondo di costa ancora nota alla memoria dei vecchi. Candida, la primogenita, sposata Zaroni generò quattro figli ancora noti alla memoria. Rosa (delle Molina) Zita sposata Antoni e madre del noto Barsante, M. Domenica (Do) e Sabino (Sabo) padre di Candida, Argia e Giulia viventi.

Giovan Vincenzo del 1862 era morto bambino e al neonato del 29 giugno 1864 fu imposto lo stesso nome con la giunta di Pietro perché nato il giorno della festa del patrono. Questo secondo Giovan Pietro adolescente fu chiamato a Senigallia dallo zio frate, padre Pellegrino dei Servi di Maria, superiore in quel convento.

A Senigallia fu impiegato come commesso in una cartolibreria di cui col tempo divenne proprietario. Lì si sposò con Volumnia Antonietti e dal suo matrimonio nacquero tre figli maschi e 4 femmine. Tra i maschi fu Mario nato il 29 luglio 1887. Terminato il liceo classico volle aggiungere alla libreria una tipografia creando la ditta “Puccini & Massa” che avanti la prima guerra mondiale stampò molti libri di argomenti locali.

Richiamato alle armi (nel 1915 aveva 28 anni) visse combattè e descrisse le sue esperienze di guerra in molti saggi (Ricordiamo soltanto: “Dal Carso al Piave” ,”Davanti a Trieste” “Come ho visto il Friuli”, “Caporetto”). Ma documento migliore, che indaga lo stato d’animo consueto degli italiani davanti alla guerra, è il romanzo “Cola o ritratto dell’italiano” titolo censurato dal regime fascista e perciò corretto in “Il soldato Cola”

Lo scrittore si unì in matrimonio a Senigallia con Alessandra Simoncini di Ischia di Castro comune della maremma laziale in prov. Di Viterbo.

La conobbe quale maestra elementare trasferita nella sua città. Da questa unione nacquero i figli (Gianni 1914) Massimo (1917) e Dario (1921). I primi due registi cinematografici e Dario attualmente professore di Letteratura Spagnola all’università di Roma.

Dopo la guerra si trasferì a Milano dove diresse una bottega di libri d’arte ed ebbe incontri e relazioni col mondo artistico e letterario lombardo. Collaborò alla rivista letterario “La Voce”, fondata a Firenze nel 1908 da G. Prezzolini e pubblicata , con vari avvicendamenti alla direzione, fino al 1916.

Il primo dei suoi molti sodalizi letterari fu con Giovanni verga che conobbe personalmente simpatizzando con il suo movimento verista e la sua missione di elevazione sociale del popolo. A questa sua scelta contribuì ancora la conoscenza della narrativa russa tra l’otto e il novecento. Studioso e cultore della lingua e della letteratura spagnola viaggiò negli anni trenta in Spagna (“Amore di Spagna” Milano 1937) in Argentina (titolo identico, Roma 1938 in Brasile (Roma 1940). Il regime fascista non finiva di piacere allo scrittore, perché sincero e quindi anti-retorico poco aveva da dire in un mondo in cui le cose e i valori si fabbricavano all’insegna della retorica. Di qui la ribadita più volte necessità che l’arte conservi una sua intima e solidale struttura morale. Negli anni venti trasferitosi a Roma con la famiglia, vi passò e subì i disagi, i pericoli gli orrori del passaggio del fronte di guerra dopo l’armistizio dell’( settembre 1943. In quel periodo di occupazione militare tedesca fu arrestato e trattenuto come ostaggio dalla banda di Koch. Finita la guerra alternò la sua residenza tra Formia e Roma, dove morì improvvisamente il 5 dicembre 1957.

Tra romanzi, racconti, saggi critici, traduzioni e relazioni di viaggi si contano una cinquantina di opere (senza considerare la collaborazione a numerosi quotidiani e riviste) che spaziano dal 1907 al 1957.

Dar notizia di tanta materia comporterebbe sconfinare delle modeste dimensioni materiali e intellettuali del nostro foglio. Sappiamo che Mario Puccini è scrittore di livello internazionale e basti questa sicurezza a riempire di legittimo orgoglio tutti i paesani, perché da Ghivizzano è uscito questo genio non comune come abbiamo dimostrato con le notizie iniziali di anagrafe e stato civile. Adesso questo orgoglio dovrà restare motivato dai suoi libri

che attendono di essere letti e sarà nostro impegno rintracciarne il maggior numero possibile per dotare la biblioteca della locale scuola media e anche quella dimenticata comunale.

Puccini Mario morì nel 1957.


Amore per la terra d’origine


In questa traccia biografica, primo approccio con i lettori di “Terra Lontana”, preferisco far conoscere dello scrittore l’attaccamento alla sua terra d’origine. Se i molteplici impegni familiari e letterali gli consentirono soltanto rare visite ai congiunti del padre, la lucchesi e la Valle del Serchio rimasero sempre come la Versilia per G.Carducci: “Quella Versilia che nel cor mi sta”. Ho scelto due sole testimonianze.

Leggendo l’epistolario di Giuseppe Giusti si imbattè nella lettera del poeta pesciatino ad un suo maestro di Firenze, Andrea Francioni: vi racconta un viaggio da Pesci a Bagni di Lucca e poi a Lucca lungo il Serchio che in quei giorni (ottobre 1836) aveva straripato per una piena seminando morte e rovina.

In un momento forse di umor nero, a proposito del contadino lucchese, il Giusti si lasciò scappar un giudizio piuttosto pesante: ”Bacchettone feroce, non rompe la vigilia, ma uccide il fratello, diffidente del forestiero….si piega piuttosto al dispotismo del prete che alla legge del ducato, nella sua fisionomia vedi la stupidità della superstizione e l’imbarazzo dell’uomo insociale”.

Sulla rivista “Minerva” di Torino (n° 18 del primo ottobre 1941)

il Puccini irritato pubblicò: “Caratteri delle genti e delle terre di Lucchesia”, cioè la sua difesa d’ufficio a chi la legge avverte subito il fluire nelle sue vene di sangue lucchese: “Non è vero che il contadino lucchese sia sospettoso e antisociale”. Segue una ammirata descrizione della Valle del Serchio percorsa sul treno. Riflette sull’avarizia dei campi rispetto alle fatiche prodigate dagli agricoltori, rammenta la risorsa dei castagni per l’alimentazione

della gente con “i metati e i necci” (voci lucchesi), le ballotte e le mondine. Scrive di gusto “le macee”. Altra risorsa l’emigrazione all’estero a fare i gelatai, i friggitori o a vender figurine di gesso. L’antica selva a migliaia ne ha visti partire, a migliaia tornare, la maggior parte col gruzzolo dei propri sudori, pronti a esplorare il campetto o la capanna da acquistare e ricostruire per farne una casa. Oppure se già proprietari e anziani preferiscono scender al piano cercando li gli immobili perché le fatiche della selva non fanno più per loro.

La seconda testimonianza la prendo dalla trama del romanzo ultimo scritto “La Terra di tutti”,(1957), che già nel titolo denunzia la scelta della parte del popolo e della sua promozione umana e sociale.

Nel protagonista Cornelio l’autore adombra il padre Giovanni chiamato dallo zio frate (padre Girolamo) da Ghivizzano a Senigallia, in realtà il padre del convento dei Servi di Maria si chiamava Pellegrino, lo mise a gestire una libreria. Alcuni nomi di famiglia si ritrovano nei personaggi del romanzo e Candida + la madre di Cornelio, poi c’è Girolamo, Zita e Pellegrino, questo nel romanzo è il superiore del convento d’Ancona. Altro nome di Ghivizzano, il vescovo Camilli, nel romanzo è il vicario generale della diocesi di Lucca. Le prime pagine sono un bozzetto della vita patriarcale (il padre padrone) del nostro castello (siamo nell’anno 1892). Due volte vi si legge il nome di Ghivizzano, una quello di Coreglia. Interessante la descrizione della famiglia contadina di Cornelio, il quale però con il sostegno economico del prozio (zio) frate ha studiato a Lucca al ginnasio-liceo conseguendo la licenza liceale. Qui è evidente la sovrapposizione dell’autore alla figura del padre Giovanni . Cornelio in treno, via Pistoia-Bologna giunse a Fano (Senigallia) e le pagine seguenti inquadrano la vita del protagonista ospite del convento dei Servi di Maria e commesso della libreria, Ad uno a uno si conoscono tutti i frati e tutti i preti della diocesi che frequentano la libreria ovviamente di carattere religioso. Nella creazione di questa moltitudine di personaggi si manifesta l’arte cospicua e inesauribile dello scrittore. Merita un cenno il carattere autoritario dello zio frate e superiore, a cui però, in compendio, si può applicare il goldoniano titolo di “burbero benefico”.

Dalla pagina 350 lo zio frate prende occasione di confrontare la sua terra in Val di Serchio con la campagna marchigiana. Non muterebbe la Garfagnana, “benchè più bosco che terra”, con quelle spiagge adriatiche.” Noi – esclama – non dimentichiamo la nostra terra, si vada magari all’inferno, lì siamo nati e lì si muore”.

In realtà, senza conoscere il tempo né il motivo, il padre Pellegrino tenne fede a questo impegno. Fratello di Alberto e nato a Ghivizzano nell’anno 1822, morì a Ghivizzano il 22 marzo 1897. Nel cimitero di Camparlese, nel primo loculo in alto a destra della cappella centrale l’epigrafe informa che lì sono stati raccolti i resti mortali di Padre Pellegrino, di Alberto (morto 1899) e della moglie Zita (1896) e figlia Candida (morta 1899) di anni 44.


La Terra è di tutti” romanzo a sfondo sociale


Negli anni 1891-92 accaddero fatti da costituire un caposaldo della storia dello sviluppo del problema sociale nell’Italia dopo l’unità. Del 15 maggio 1891 è la pubblicazione dell’enciclica del pontefice Leone XIII,la famosa “Rerum novarum”. Dell’agosto 1892 è la fondazione a Genova del Partito Socialista Italiano. Furono anni di scioperi e tumulti popolari. Davanti a tali manifestazioni non rimase insensibile il nostro Cornelio. Con il più coerente rispetto della religione nella quale era stato educato considerò e meditò sull’atteggiamento conservatore del clero ancora legato alla tradizione di classe privilegiata insieme alla nobiltà(trono e altare), Di qui l’elogio del romanzo: Dopo un dialogo drammatico tra Cornelio e lo zio frate, questi lo mise alla porta con queste parole: “Quand’è così, vattene e per sempre”.

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