RACCOLTA DI POESIE DI PASQUINA MEI BONELLI

 




Nata a Ghivizzano il 6 agosto 1892.

Nel 1917 fu nominata insegnante privata.

I suoi allievi ghivizzanesi sia in Italia che emigrati in ogni parte del mondo la ricordano con affetto.

Si diletta a scrivere prose e poesie.

Di queste ultime ne sono raccolte 120 quasi tutte ispirate a persone e cose belle del suo paese natale.

(qui sono raccolte solo alcune di queste)



T’HO CONOSCIUTA PICCINA*


T’ho conosciuta piccina piccina

come una bambola dai riccioli d’or

eri vezzosa, graziosa, carina

e promettevi la gioia e l’amor.

Ma ora al fianco ti vedo il fidanzato

che ti stringe felice e beato

e mentre esso ti guarda con orgoglio

il mio ritornello dir ti voglio.


T’ho conosciuta piccina ecc. ecc.


E se indietro potessi tornare

la cicogna vorrei far ritardare

per nascere nei giorni lì vicino

e crescere con te, fin da bambino.

Invece è tutto inutil che mi affanni

fra noi vi corron molti, molti anni

perciò mi resta altro di bello

che cantar con passione, il ritornello.

T’ho conosciuta piccina ecc ecc.

* Questa poesia è stata musicata e presentata al festival della canzone d’amore, cantata a Torino il 27 gennaio 1962 di ventotto questa arrivò quarta.

Inoltre è stata musicata e eseguita dal coro del Gruppo Ricreativo Parrocchiale in occasione della festa degli anziani




LA QUERCIA E I MIRTILLI


Una superba quercia ben fronzuta

aveva al piè uno stuolo di mirtilli

Essa gli stava sopra , risoluta

e loro non potean viver tranquilli.

La quercia con radici sparpagliate

occupava il terreno, a suo piacere

e quelle pianticelle segregate

dovevan sopportare, e ben tacere.


Ma un giorno, d’accordo i mirtillini

si fecero coraggio, e volti in su

dissero alla quercia: Lo vedi siam piccini

e qui affogati, non né possiamo più.

Abbi di noi un po' di comprensione

lascia passar fra i rami un po’ di sole

del nostro stato, fatti una ragione

anche il buon Dio, la carità la vuole.


Ma la quercia, pè scherno fè un inchino

e….che pretendi, mini pianticella

non sai far altro, che un piccol bacolino

e manco ti puoi dir graziosa e bella.

Oh! certamente, ti sei molto grande

ma il mio frutto, si può dire senza scorci

che producendo, tanta foglie e ghiande

prepari il cibo, per saziare i porci.


Invece il nostro fruttino è delicato

con esso ci si fan torte e sciroppi.

Non disturbiamo il nostro vicinato

e ce ne stiam radunati, quieti e chiotti.

Ma...di rimando la quercia urlò stizzita

insolenti...io produco legno bello e forte

tutti mi apprezzano , e voi fatela finita

altrimenti, posso schiacciarvi, r farvi morte.


Abbiamo capito, ormai chi è grande e grosso

fa la legge, e ben la sa adoprare

E’ sempre pronto a dire: Posa l’osso

e i piccoli non lascia ragionare.

E quelle pianticelle a malincuore

i loro affanno dovettero lenire

abbracciare il loro stato, con amore

E...mai...mai più si fecero sentire.


LE SIEPI


E’ primavera, e se alle siepi andiamo vicino

il loro primo fiore è il bianco spino.

Esse son rustiche e poco accoglienti

cò loro pruni, e sprocchi pungenti.

Ma poi, alla siepe la mano è portata

a cogliere i luppoli per la frittata

a cogliere pur delle spine i cimelli

e dei vizzati, i gentili fiorelli.

E con l’ortica e le foglie dell’uppa

noi ci facciamo il riso e la zuppa

e se vi sono erbe medicinali

quelle di siepi sono speciali.

E quando poi subentra l’estate

allora le spine, si sono allungate

e quasi superbe, irte e inodore

ecco lì lor frutto, ecco le more.

Che con lo zucchero e poi bollite

si fan marmellate , buone e squisite.

Oh quanto è provvida madre natura

che sempre agisce per nostro bene

e fino alle siepi, ha dato un buon seme.



FARFALLA


Farfalletta che svolazzi nella piena libertà

questo mondo, è tutto tuo Oh! Che gran felicità.

Il profumo d’ogni fiore solo tu, lo puoi fiutar

il bel verde ti accarezza e t’invita a riposar.


La minuscola boccuccia non è capace a favellar

altrimenti...quante cose ci potresti raccontar.

Farfalletta che innocente sulla spalla vuoi volar

di quel tale innamorato e sentir, cosa dirà.


Altrettanto ti diletti della tale...al passeggiar

che aspettando il suo ideale si consuma a sospirar.

Oh se avessi le ali anch’io vorrei tanto scuriosar

ma purtroppo ne son priva e costretta a pazientar.


Vola, vola con delizia spazia ognor di qua e di là

tu che puoi godere appieno della bella libertà.


IL VINO


O nettare ghiottone senza e quale

chicchi paffuti, e si di buon sapore

l’origine sua ben ne risale

all’oprà di Noe, viticoltore.

Che appunto, per questa sua passione

nove secoli visse, il buon tempone.

E fin da lui si vedono gli effetti

del vino preso a bere in abbondanza

i cui figli bravi, probi e sì corretti

rimprovero gli fen con arroganza.

Perchè un dì lo trovarono sdraiato

In triste modo, e bene avvinazzato.

Ma invece, con buon senso e economia

l’uomo che beve il giusto allor ragiona

l’uomo che beve il giusto allor ragiona

Ha ferma la memoria, e l’armonia

lo rende socio si, d’ogni persona

E’ in tale condizion si può brindare

a Noe, al vino, e a chi lo sa gustare.



IL MAPPAMONDO


Quanto è grande il desiderio di vedere tutto il mondo

Oh! ma è facile, perbacco tutto sta nel mappamondo.


Con un dito si rigira con un palmo si circonda

un’occhiata è sufficiente va dall’una all’altra sponda


Quante cose ci s’impara e ponendovi attenzione

è uno studio interessante e di gran soddisfazione.


Qui ciascuno può trovare nei diversi continenti

dove un giorno vi emigrarono e gli amici ed i parenti.


E possian renderci conto e dei mari e delle terre

dove i prodi combattenti affrontarono le guerre.


Tutte quante le nazioni che si trovano nel mondo

con i fiumi, laghi e monti tutto stà nel mappamondo.


Benedetto sia quel tale che ristrinse il mondo intero

entro un globo semiovale che presenta tutto il vero.






LE GALLINE ALTERE


In un pollaio molto popolato vi stanno galline grasse e magre

ma fra loro un litigio vi era nato e avevano formato sì due squadre.


Le grasse si vantavano orgogliose

e le magre facean venir gelose.


Le rubiconde altere e pettorute sfioravano le altre con baldanza

che doveano star zitte e ritenute cedere senza motti né arroganza


Ma una mattina venne la massaia

con l’acqua già in bollore sopra il gasse

portò tutto il pollaio, in mezzo all’aia

e scelse due galline belle grasse.


A nulla valse, il loro trepidare

che dovettero farsi strangolare.





LA TITOLARE DEL NOSTRO PAESE: SAN PIETRO


Il 29 giugno, d’ogni anno

Di San Pietro e Paolo, abbiam la titolare

e i paesi vicini, tutti sanno

che torte e polli, allor c’è da sgranare.


A tavola, più o meno c’è allegria

mangiare , bere e far conversazione

brindar con buon vini, in armonia

e fare onore alle pietanze buone

E per chiudere il pranzo, che cuccagna

si stappano bottiglie di sciampagna.


Sul campanile sventola bandiera

e i sacri bronzi echeggiano nel cielo

si unisce a tanta festa, e tanto zelo.

Mentre il ricordo, ci fa ben pensare

ai nostri cari, che son di là dal mare.


FEBBRAIO 1976


E’ ormai una festa gioiosa e familiare

quella del giorno che ciascuno è nato

tutti si apprestan si, a ben festeggiare

invitando gli amici, e il parentato

e su per giù, fra tutti sono uguali

con lo scambio di auguri e di regali.

Buon compleanno….si buon compleanno

però non tutti gli anni si può dire

perché come fosse adesso, in questo anno

lo impedisce….febbraio bisestile

Così se uno è nato il giorno ventinove

solo ogni quattro anni, si rimuove

e appunto un ragazzetto, l’altro giorno

diceva tutto stizzito ed eccitato:

a me del bisestile, importa un corno

e come gli altri voglio essere trattato

ma poverino….disse la sorella

chi ne ha colpa...se la data è quella.



Il MUGHETTO


E’ pur vero che il mughetto

di finezza è coronato

la sua forma ha un bell’aspetto

e il profumo è delicato.


Esso dorme tutto il verno

nudo e brullo dalla foglia

ma però nel seno interno

stà gonfiando e si germoglia.


E allorchè la primavera

fa sentire il suo calore

il mughetto pronto impera

spunta foglie, spunta il fiore.


PRECAUZIONI NEL PARLARE


Cuor di bimbo si direbbe

poco osserva, poco intende

noi, così si crederebbe

ma pur troppo tutto apprende.


Quando gioca silenzioso

ode, e vede inosservato

e per natura malizioso

ascolta, e tiene conservato.


E per questo che bisogna

aver molta precauzione

se non vogliamo aver vergogna

e creare confusione.


In quei piccoli innocenti

seminiamo germi sani

se vogliamo esser contenti

nel racconto...di un domani.


ERA D’APRILE UN BEL MATTINO….


Era d’aprile un bel mattino

e per i prati spuntavano i fior

si udiva il canto di un uccellino

che suscitava, gioia ed amor.


Una coppietta e ben compita

sotto quel sole a spasso vagava

lui con un braccio cingeale la vita

e lei felice se lo guardava.


Senza far motto, né dir parola

ciascun sentiva battere il cuor

e né due petti, una voce sola

che ne scambiava tutto l’amor.


Rotto il silenzio, da un gran sospiro

e con un tremolo ebbro d’ardor

lui disse: t’amo, quanto ti ammiro

e se strinse ben forte al cuor.


Ed in quell’estasi così veloce

tanto confusi nel gran mister

a lor tremava, e cuore e voce

mentre esultavano, rivolti al ciel.


(Questa poesia è stata musicata)




MAMME DI IERI


Le mamme un temo, avevano riflessione

consideravano grande il lor dovere

praticavan pei figli ogni attenzione

educandoli sani, e nel sapere

tenean la disciplina, e l’obbedienza

affetto silenzioso, e gran prudenza.

La mattina scambiavansi il buon giorno

i genitori, i figli e pur gli anziani

dicevan la preghiera tutt’intorno

incominciando la giornata da cristiani

poi ciascun ricevea, la sua mansione

con gesto ben reciso, e santa unione.

I figli, si cresceano con temenza

ma rispettosi ed uniti nell’affetto

e quando la madre, volea usar clemenza

co’ un bacio in fronte, li poneva a letto

a letto si capisce, in prima sera

e tutti dovean dir, la lor preghiera.

La mamma allora, ne prendea il lavoro

filava, cuciva e rammendava

ed in cuor suo sentiva, un gran ristoro

finché cedeva al sonno, e a letto andava

e dalla coscienza sua, volea sapere

se il giorno avea fatto, il suo dovere.

Sempre si avea timor, che le figliuole

non fossero abbastanza ritenute

e guai, se le sapea civettuaole

e se con tristi amiche, trattenute

erano esordi e sermoni, per le buone

e non servendo questi, anche il bastone.

Il vestire modesto e decoroso

dovean coprir le carni nettamente

intanto il fidanzato,,,, e dopo sposo

di lì prendeva spunto, giustamente

e con dovuta stima, e riflessione

affrettava entusiasta, quella unione.

Le madri, pure povere o adagiate

si sapean regolare in tutti i modi

e pria che le figlie, avesser maritato

del corredo le avean pagati i chiodi

e quando la figlia andava, al santo altare

nissuno un soldo, le dovea a vanzare.

Lo spreco e il lusso, non si conosceva

e neppur l’esigenza smoderata

ciascuno intendea far, come poteva

e la madre, da tutti era stimata

ed alla festa, soleva dir lei stessa:

Su, figli cari, andiamo tutti a Messa.

Quando una spesa, pronto si accorgeva

che il suo stato non era più normale

un comodo vestito si faceva

e ben si regolava nel parlare

ed ogni sesso, separato stava

e al decoro, e al prestigio si guardava.

Le figlie dovean saper filare

tessere, cucire e far la calza

e con economia, ben cucinare

e far l’erba del prato, e sulla balza

ed era così, per tale briglia

che si facean le vere spese in famiglia.

……………………………………….

Oh madri di quel tempo, dove siete?

Madri esemplari vereconde e buone?

La loro serena virtù, di grande sete

le rendean degne, di portar quel nome

e il loro oprare veramente sano

era l’orgoglio, del consorzio umano.


NB: Questa poesia, tramite il Rev. Padre Pietro Pieroni fu inviata

al Santo Padre, con la seguente risposta:

Segreteria di stato di Sua Santità n°29333

Rev.ndo Padre,

con riferimento alla sua pregiata lettera dell’8 corr. Mese mi è gradito significarle che non si è mancato di presentare la Sommo Pontefice la poesia, che la signora Mei Bonelli Pasquina di Ghivizzano(Lucca) gli ha, a suo mezzo inviato in filiale omaggio.

Il Sommo Padre, mentre si compiace per i concetti svolti dalla pia signora sulla missione della madre nella famiglia cristiana, affida a lei il venerato incarico di esprimerle la sua riconoscenza per questo atto di sentita devozione e di parteciparle il favore della Benedizione Apostolica.

Con sensi di religioso ossequio mi confermo

di Vostra Paternità Rev.ma

dev.mo nel Signore

A. Dell’Acqua

sostituto

Vaticano 13 giugno 1960



LA VENDETTA DI UNA TARTARUGA


Un giorno una robusta tartaruga

tranquillamente se ne andava a spasso

ma un ragazzo sgarbato, la raggiunse e in fuga

le gettò davanti un sasso

essa fè appena in tempo, a ritirà il musetto

ma dentro sé, pensò: Oh! Ma ti aspetto.

Cercava intanto, di stare un pò appartata

ma sempre attenta a quel triste monello

e quando lo vide corrè all’impazzata

racchiusa si piazzzò, presso il cancello

esso v’inciampò, si forte e ardito

che cadde per terra tramortito.

La tartaruga, che ben avea osservato

ciò che avveniva con la sua vendetta

a quel ragazzo, così male educato

disse partendo, nella lenta fretta:

Ricordi? Il mio musetto appena restò illeso

ora tieni presente, che, quel che è fatto, è reso.

MARZO


Ecco marzo il pazzerello mese strambo assai curioso

oggi brutto, doman bello e le nubi non han peso.


Un momento stride e tuona vien la grandine copiosa

che nei venti vi risuona con burrasca spaventosa.


E’ capace dopo un’ora tutto il ciel bello sereno

come fosse in piena aurora ed un clima assai ameno.


Ma con animo giocondo ci conviene pazientar

tutto passa, in questo mondo anche Marzo, passerà.



I FIGLI DI IERI


Se abbian parlato già dè genitori

e’ logico parlar pure dei figli

di quei figli educati, in buoni umori

e che sapevano usar saggi consigli

crescendo buoni, bravi e decorosi

prudenti, onesti, e tanto affettuosi.

Non avean lusso, né tanta esigenza

il lavoro tena tutti occupati

pian piano apprendean con l’esperienza

senza la fretta d’essè emancipati

così maturavan gli uomini dabbene

formando le famiglie ben serene.

C’era il principio col timor di Dio

con sana riflessione ed armonia

facean le lor vegliate, e c’era brio

con reciproco affetto, ed allegria

e quando comandava il genitore

eran pronti ad obbedire e con amore.

Anche con la miseria più sentita

tutti eran tranquilli e laboriosi

ciascun facea tesoro della vita

non eran prepotenti, né orgogliosi

avevano un linguaggio ben corretto

e specie per i vecchi, avean rispetto.

Eppure crescevan belli e rubicondi

avvezzi a tutte quante le intemperie

i loro sentimenti, eran profondi

e mai reclamavano le ferie

lavoravano con zelo a meraviglia

conoscendo i bisogni di famiglia.

C’era anche allora, qualche scapestrato

le eccezioni ci sono sempre state

come nel ciel sereno, e…..annuvolato

sia nell’inverno, che nella piena estate

ma si può dire, che in linea generale

l’agire di quei tempi, era leale.



LA CHIOCCIA


Con la cresta impallidita e le penne un po' in trasando

la chioccetta impettorita si dà l’aria del comando.


Si rigira intorno intorno gracidando denza posa

si affatica tutto il giorno quale madre premurosa.


E se trova granellini si mette a picchiettare

poi raduna, lì i pulcini insegnandogli a beccare.


Se del freddo sente il motto apre le ali, poi si china

se li mette tutti sotto e nissun le si avvicina.


Quella madre, non ha parole ma di fatto, soffre e stenta

tutta presa è dalla prole ma è felice, ma è contenta.


Dalla chioccia previdente amorosa ed esemplare

prenda spunta tanta gente per proteggere ed amare.


EFFETTI DELLE CAMPANE


Ogni qualvolta sentian suonare

un doppio allegro delle campane

sembra si – scuota, e ci fa provare

una certa gioia, che in noi rimane

ed ogni tocco, ci arriva al cuore

come un risveglio, di festa e amore.

E alla domenica, doppi a distesa

così esse chiamano tutti a raccolta

e qui i fedeli riuniti in chiesa

la Santa messa ciascuno ascolta

e per qualche festa, media che sia

i sacri bronzi, fanno allegria.

E cosa dire quando gli sposi

vanno alla chiesa per il gran: si?

Doppi squillanti, doppi pomposi

che lascian l’eco per tutto il di

e ai tocchi, in ultimo della funzione

confetti, e riso, a profusione.

Ma questi, non sempre ci fan contenti

perché purtroppo vengano i turni

di note lugubri, tristi e dolenti

perché qualcuno, finisce i giorni

di questa breve, vita terrena

e la campana, non suona amena.

Anzi quei ticchi, duri e vibranti

scendano al cuore di chicchessia

e non vi sono più attenuanti

tutti facciamo, la stessa via

e allor sentiamo, il suono severe

che ci accompagna, al cimitero.

Così quei bronzi, fanno due effetti

recano è vero, festa e fragore

però a seconda dè vari aspetti

annunciano lutti, pianto, dolore

perciò le campane, tanto armoniose

di bianco in nero, cambian le cose.



I LAMENTI DI UN CIUCO


Che triste sorte mi era riservata

disse un giorno un ciuco vecchierello

a me la soma, non è mai mancata

e ho solo il torto di non esser bello

col mio lavoro, mi guadagno il pasto

e sulla schiena, tengo sempre il basto.

Quando il mio padron mi fa portare

legame, cereali e pur terriccio

si adopera con sforzo, a caricare

tanto dice: porta tutto il miccio

e dentro una gabbia, proprio rozza assai

mi fa del grosso fieno, e biada mai.

La striglia per pulirmi non ce l’ha

né un po' di garbo e di riconoscenza

per me non esiste affatto la pietà

e mi si fusta pur senza coscienza

e spesso sento dir da certa gente

tanto è un miccio che non sente niente.

Certo che il cavallo è si imponente

sembra bello, pulito ed altezzoso

e si dà gloria nel veder la gente

però a i suoi spassi, e il suo riposo

il suo nitrire, è sempre alla ribalta

con un superbo gesto, a testa alta.

Ma io povero ciuco spelacchiato

che la natura mi è stata tanto avara

non ho presenza, e raglio a mezzo fiato

pensando alla mia sorte tanto amara

mentre chi è bello, non è povero in tutto

e disgraziato me, che sono nato brutto.


UN NOME ASTRATTO


Vorrei poter trovare una bilancia

che funzionasse con vera precisione

per poter calcolare il peso esatto

di una cosa, che han tutte le persone

E che dal cuore e l’anima ne sbocca

però, non la si vede, e non si tocca.

E’ una cosa sublime e portentosa

ha il fare espansivo, da più a meno

e se ha le radici, ben profonde

è una ricchezza, che stà sempre in seno

e per natura, rende tutti uguali

sia per l’uom che ragiona, e gli animali.

Questo -essere- che lo pronuncia il cuore

ha in se la più dolce tenerezza

e penetra dovunque, con fragore

sfiorando il labbro, e l’armonia carezza

dolce e prezioso sì, quanto l’onore

tutti l’avrete inteso, che è: l’Amore!


PARAGONI TRA IERI E OGGI


Al tempo dè miccetti e dè cavalli

chi avea la bicicletta era un signore

non andavano allor, per monti e valli

ma non c’era nemmen tanto rumore

E al passar d’una carrozza, o un calessino

a vederli correva, ogni bambino.

Erano tempi è ver di ristrettezze

tanto lavoro, e tanta economia

non c’eran lussi, né tante bellezze

ma pur c’era la pace e l’armonia.

E ai più agiati, nessuno ci guardava

e anche di poco, ognun si contentava.

Ma adesso! Automobili a milioni

tutti son ben vestiti e imbrigliati

molte son l’esigenze e pretensioni

anche se son meschini e sciagurati

Basta con la corrente andare avanti

e aggiornarsi a’ moderni stravaganti.

Del proprio stato, nissuno è più contento

se uno ha cinquecento, vuol far mille

si odia chi sta bene, ed ha talento

e sul prossimo si cerca far faville

sia pur sacrificando anche l’onore

basta essere l’un l’altro superiore.

Consideriamoci unvece tutti uguali

chiediamo a Dio la pace, e la salute

questi sono i problemi principali

e calmiamo le invidie sempre acute

tanto si ha da pensare, come si vuole

per tutti viene, il tramontar del sole.


LA VERA RICCHEZZA FISICA


Ricco è colui che è sano

colui che tutto mangia e digerisce

che a qualunque lavoro, può dar mano

e qualsiasi mansione la gestisce

quando c’e salute, e buona volontà

tutto si risolve, e con buona serenità.

Evviva dunque, si può dir attorno

la salute, la forza, e l’energia

evviva per colui, che tutto il giorno

lavora e canta, in braccio all’allegria

il buon’umore, è l’unico elemento

che fa vivere l’uomo, ognor contento.


UN SOGNO


Era l’altra settimana che mi feci un certo sogno

ma si poco veritiero che a narrarlo mi vergogno.


Vidi chiese piene zeppe e di giovani e di sposi

e di donne bimbi e vecchi genuflessi e rispettosi.


Vidi sposi che fedeli a quel santo giuramento

anche anziani eran felici e col cuor sempre contento.


Poi sentii da tutti quanti un parlare onesto e sano

senza dire una bestemmia senza un motto grossolano.


Per le piazze e per le strade vi era calma e precisione

e i ragazzi col bel garbo salutavan le persone


Vidi pur tutta la gente la roba d’altri rispettare

far qualunque sacrificio ma piuttosto che rubare.


Osservai, ma sempre in sogno il vestire moderato

senza lusso, senza spreco ed il prossimo pagato.


Il mio sogno era sì bello che gran gioia ne provai

ma pur troppo fui delusa non appena….mi svegliai.




LA FAMIGLIUOLA FELICE


Stridono le ruote di un carretto

che lo vedian trainato da un ometto

stanco, nero dal sole, ed abbronzato

e che...tira, e...sforzando a tutto fiato.


Quel carretto è pesante, zeppo pieno

in parte d’erba fresca, e profumato fieno

la moglie di quell’uomo, Petronilla

spinge affannosa il carro svelta e arzilla.


Li segue un bimbo, che a nissun fa caso

scalzo arruffato, e con il moccio al naso

alfin giungono presso la casetta

che solo il gatto sulla porta aspetta.


Il marito si ferma a scaricare

la moglie in fretta prepara desinare

poi nella pace, più serena e gaia

si mettono a sedere in mezzo all’aia.


Aria pura, cibo fresco e sano

pane e frittelle, di saporito grano

poi chiudono col pane e la cipolla

ed una brocca d’acqua della polla.


Quanta tranquillità, quanta armonia

in quella famigliuola, e che allegria

così felici, e senza aver pretese

e insiem misurano le entrate con le spese

Alla sera il lavoro è terminato

ed il rosario vien recitato

lo guida con bel garbo, il figlioletto

poi si scambiano un bacio, e vanno a letto.


IL PROGRESSO


Il progresso è un fattore buono e bello

che porta gran prestigio alla nazione

ma se non c’è la pace col fratello

e l’armonia con tutte le persone

finiremo in una grande baraonda

e dentro un mare, privo della sponda.

Gesù predicò la pace a tutti

a tutti suggerì la fratellanza

senza guardare a’ ricchi, belli o brutti

tutti li abbracciò, nella sua stanza

in quella stanza, che Chiesa fu chiamata

e che adesso, ne è quasi abbandonata.

Ora firti, rapine, e mal contento

un mal costume che fa compassione

mentre che l’agir bene, è un gran portentosa

con la serena concordia, e con l’unione

ma...speriamo che si arrivi a ragionare

affinché tutto ciò, possa cambiare.


AL VENTO


Questa sera mi sono svegliata

perché scossa da un certo spaventosa

e appena dal letto, su alzata

ho sentito che era un gran vento.

Ma così forte, continuo insistente

che sembrava un leone ruggente.

Impressionata da tanto rumore

dietro i vetri mi sono affacciata

ma il buffare metteva terrore

e di un lampo, mi son ritirata

e mentre tremava anche il tetto

mi sono rimessa nel letto.

Non potevo riprendere il sonno

e pensavo a quel vento rabbioso

ma appena che s’è fatto giorno

l’ho sentito assai meno furioso

ed allora, pianino, pianino

sono scesa, nell’orto, e in giardino.

Ho sospeso il respiro all’istante

e non volevo che ciò fosse vero

al veder quella strage di piante

ed i fiori, ridotti allo zero

e con tutta la voce ho esclamato:

vento...vento...ci hai rovinato.



LA NEVE


o bella neve che così innocente

scendi dall’alto placida e perfetta

qui trovo pure, della triste gente

che ti stringe, ti pigia e via ti getta.


Ma tu non guardare a questi stolti

assicurati invece che si allieti

e che proprio per te, scrissero molti

i più bei versi, dè nostri poeti.


E pur gli antichi, con un serio motto

bene appropriato, e che lodar si deve

che da te stabiliscano il raccolto

dicendo: Il pane sta sotto la neve.


Dunque tu sei la gaia messaggera

la candida pioggia senza velo

l’amica però, della bufera

che spesso ti accompagna giù dal cielo.


E se per forza il vento ti si abbina

e da esso ti lasci trasportare

allora formi quasi una rovina

ed impedisci all’uomo di viaggiare.


Rendi così la gente un po' sgomenta

che cerca di sferrarti forte e piano

perché allor prendi il nome di tormenta

e non serve l’ombrello, né il pastrano


Perciò ti raccomando, o neve bianca

di viver sola, e sola qui pesarti

come un’ancella, che si ferma stanca

e poi….pian piano liquefarti.



AL FRESCO DA BARSANTE


Il calar del sol cocente rende tutti affievoliti

e c’è pure molta gente che si sposta in altri lidi.

Chi va al mare, chi va a’ monti

dove son le fresche fonti.

Che entusiasmo quando arriva il consueto villeggiante

sono abbracci, sono evviva e ciascuno, n’è esultante

Per godere le frescure

fra le gioie e le premure

Pur nel nostro Ghivizzano di gran gente c’è l’affanno

da vicino e da lontano ammirando il grande lusso

Ed ognuno, ve lo confesso

fa gli elogi del progresso.

Fiancheggiata a simmetria è la strada nazionale

che a partir, dall’osteria sembra tutto un gran viale

con ville e fiori messe intorno

che ci unisce a Calavorno

E la sera noi vediamo lungo tale passeggiata

tanta gente, come a sciamo lieta, allegra, spensierata

Poi si fermano all’istante

al bel fresco da Barsante

Lì ciascun siede beato si riposa e si ristora

consumandovi un gelato e poi, van più avanti ancora

dove sono altri esercenti

tutti bravi, ed accoglienti.

Ed i nostri compaesani al bollettino qui abbonati

sian vicini, che lontani si ritengono onorati

nel sentire che, più o meno

Ghivizzano è sempre ameno.




VECCHIE USANZE DI GHIVIZZANO: IL CALENDE DEL 1° MAGGIO


Moltissimi anni fa , bene s’intende

c’era l’usanza, che ora non c’è più

cioè, che il primo maggio, venia messo un calende

dove c’erano ragazze e gioventù

Il calende era un bel ramo, d’arbogatto

piantato alla porta di casa, e molto alto.

In cima un fiocco girato in tutti i lati

che rilegava un grosso buccellato

Un sacchetto di confetti colorati

e caramelle e dolci al cioccolato.

Il tutto ben messo, e ben disposto

e l’autore ci vegliava di nascosto.

Chi faceva l’amor, stava in attesa

ansiose che arrivasse quel mattino

per vedere alla porta di casa, la sorpresa

cioè un bel calende, posto per benino

Ed ogni oggetto, di cui era caricato

tutto aveva il suo significato.

La notte era tutto un passeggiare

alcuni d’accordo, ed altri un po' tremendi

e tutti cercavan sì, di sorvegliare

perché nessuno sciupasse, quei calendi

E per fare la guardia, da ogni parte

camminavano per fin, senza le scarpe.

Pur troppo il calende non ha tutte venia messo

d’arbogatto un bel ramo, od un piantone

a secondo la condotta di quel sesso

vi mettevano oggetti, e cose poco buone

cenere, gusci d’uova, pula e sprocchi

del ferro arrugginito, e dè marmocchi

Prima d’alba erano alzati tutti

per vedere alla porta di casa, cosa c’era

e se gli oggetti, erano tristi e brutti

li facevano sparire, e di carriera

e mentre certe ragazze, erano allegre ed orgogliose

altre invece con rabbia, litigavano fuocose.

Però oggi la gente si è tutta aggiornata

ed anche questa usanza, se n’è andata.


L’INCEMBALATA VECCHIA USANZA DI GHIVIZZANO


L’usanza che forse da cent’anni,

abbiamo qui, nel nostro Ghivizzano

è proprio la cuccagna, dè malanni

e che vi stanno attenti, a tutto spiano

cioè l’usanza, molto osservata

quella della famosa, incembalata.

Quando viene alla luce il primo figlio

i ragazzi sono attenti ad ogni lato

e fra loro lo udite un gran bisbiglio

per saper quando viene battezzato

ed allora alla sera, allo scurire

dal fracasso vi fanno incitrullire

Si riversano tutti nella via

con barattoli, zappe e copertelle

con vanghe, palette, e rameria

e giù colpi a strattoni sopra quelle

e questa musica, così tutta stonata

è proprio la curiosa incembalata.

Formano dirò, una processione

girando per le strade , forte e piano

ma fan tanto fracasso e confusione

che sembra quasi d’essere a Maggiano

poi vanno alla porta del neonato

incembalando con urli, a perdifiato

Allora le massaie preparate

portan fuori dolci e vino del migliore

e lì si vedon, tutte mani alzate

e tutti mangiano e bevano di cuore

e fanno a gara per poter votà il bicchiere

continuando a chiedere da bere.

A un certo punto, perdono il controllo

e allora la combriccola si sforma

qualcuno va a casa, crollo crollo

lasciando lo strumento ove gli torna

quindi se ne van, quasi sborniati

soddisfatti, contenti e sì beati.

Allora vien la volta de’ maggiori

i quali entrano in casa francamente

e tutti fanno elogi a’ genitori

e vivi auguri al piccolo innocente

e poi tutti seduti al tavolino

fanno onore a’ biscotti, ed al buon vino.

E quindi una festa assai curiosa

è tutto uno scoccar senza creanza

ma guai se la famiglia un po' scontrosa

tentasse di levare questa usanza

quegli si troverebbe, e molto in fretta

a sentirsela in capo, per berretta.




LA LINGUA BATTE DOVE IL DENTE DUOLE


Stando sempre a’ proverbi degli antichi

noi li troverem, bene appropriati

di cognizioni sì erano arricchiti

ed i proverbi, tutti già provati

perciò anche questo, spesso dir si suole:

la lingua batte, dove il dente duole.

Infatti vi era qui una ragazzina

innamorata cotta di un Tonino

molto frivola, ed anche sbarazzina

e certo di un ameno cervellino

e qualunque discorso, che facevano

sempre Tonin di mezzo, ci metteva.

Per fino se coglieva l’insalata

se preparava i panni per lavare

se facea qualche volta la schiacciata

se doveva pilire, o rammendare

la rigirava tanto per benino

bastava c’incastrasse, quel Tonino.

Però quando questo se ne accorse

le fè corte assidua e premurosa

in qualunque occasione esso la colse

e spesso le dicea, di farla sposa

ma quando l’ebbe, ben bene incitrullita

la piantò su due piedi e fu finita.






AL CIMITERO

(Questa poesia fu recitata al Cimitero il 2-11-1978)



O bianco sito, che accogliendo stai

le spoglie di noi miseri mortali

cesseranno con te, i terreni guai

avran fine con te, pensieri e mali

Tu accetti ospiti, grandi e piccolini

e li tieni raccolti, dentro i tuoi confini.

Iddio, ci ha dato il dono della vita

con l’incombenza di bene amministrarla

sempre però, per la sua gloria infinita

e per riunirla al momento, insieme all’alma

Infatti, ora noi vediamo interno

affluir tutti qui, giorno per giorno.

E questa dimora, non vi deve far tristezza

perché qui siamo, tutti quanti uguali,

il solito convitto, ci accarezza

senza pretese di amici, e di rivali

e quando abbiam passato quel cancello,

tutto scompare, con il brutto e il bello.

Resta però il pensiero con la fede

ed i ricordi che mai vengono meno

Oh! nostri cari, il cuor sempre vi vede

come quando in vita, vi stringevamo al seno

Ma siate pur certi sì, che come allora

tutti vi amiamo, con tanto affetto ancora.

E così pure noi vi seguiremo

in una patria che sarà infinita

in un fraterno luogo, più sereno

dove Dio ci darà, una nuova vita

E con speranza, che questa mai non muore

ora viviam contenti nel Signore.

E mentre che da voi ci congediamo

questa giaculatoria insieme recitiamo:

O Gesù tanto buono, o Dio misericordioso

a tutti i cari defunti, date pace e riposo.






EMIGRANTE


Emigrare è oramai cosa comune

la nostra terra è troppo popolata

lavori scarsi, e poco redditizi

e la gente si è sempre allontanata


Triste….il passo però, nell’andar via

lasciando tutto, e le persone care

che stringono il cuore, in una morsa

con la speranza in petto di tornare.


E l’emigrante intanto si allontana

però il pensiero e l’affetto più profondo

lo ha lasciato, nella casetta cara

che come quella, non ve n’è altra al mondo.


I singhiozzi e i ricordi fanno eco

e qualunque occasione si presentare

pel troppo vuoto, che uno ha lasciato

e la famiglia non può viver contenta.


E quante volte gli viene il pentimento

il desiderio di troncar la via

pensando alla famiglia, al focolare

ove era tanta pace ed armonia.


E quando approda in terra a lui straniera

deve affrontare un duro noviziato

si sente ospite, solo triste, tanto triste

ed a volte non è considerato.


E con passar dei giorni e pur degli anni

esso sente nel cuore un gran desio

di far fortuna….per tornare in patria

e come...si raccomanda, al sommo Dio


Oh! cari nostri che siete lontani

potete esser sicuri, che il pensiero

vi è unito giorno e notte senza posa

ed è per voi, il più assiduo messaggero.

E noi, forti e sereni ci faremo

per riabbracciarvi, stretti, stretti al seno.



VOCI DELLA NATURA


Son trilli assordanti di grilli

e svolazzi dal piano alla valle

di belle e graziose farfalle.


Son canti di uccelli che erranti

serpeggiano allegri e sonori

e del cielo ne son viaggiatori.


Son grame di stridule rane

che nell’acqua, sguazziglian gioconde

facendo la guardia alle sponde.


Son latriti di cani sbandati

che randagi e senza padrone

van cercando il pane carpone


Son urli di galli citrulli

che si danno arie grandiose

per avere moltissime spose.


Sono fiori di molti colori

che sanno cantare l’amore

profumando, l’anima e il cuore.



RICORDI DI AUTUNNI PASSATI


Quanti ricordi! In questa stagione

per i raccolti che ivi si fanno

uva, castagne e formentone

frutti benefici, per tutto l’anno.

Per fino i funghi, sì saporiti

per farci i sughi, proprio squisiti.

Pure altra frutta, noi raccogliamo

che nell’inverno vien consumata

per conservarla, i mezzi li abbiamo

secca, passita e sciroppata

e quando l’autunno è generoso

porta benessere, gioia, riposo.

Ma cosa dire quando il frumento

veniva rimesso, ed ammucchiato

era per tutti, un gran contento

ed alla sera, lì scartocciato

era una festa, con vera armonia

e a grandi e piccoli faceva allegria.

E spannocchiando, cantavano in coro

quelle canzoni del buon umore

e le pannocchie, dal color d’oro

che si associavano a quel fragore

ed ora questi, ed ora quelli

facevano a gara con gli stornelli.

Veniva la volta delle vegliate

inebriate col nuovo vino

e le castagne, lesse e bruciate

buon cibo sano, e genuino

e fra i parenti, vicini e amici

erano autunni, proprio felici.

Ma adesso restano solo i ricordi

du quei bè tempi semplici e buoni

senza esigenze, né disaccordi

e senza farsi tante illusioni

perché la gente, ancor cristiana

rendea la vita, nobile e sana.


NEL GIARDINO DELLA SIGNORA GIULIANI


Eccoci qui seduti nel giardino

ricco di aiuole e profumati fiori

quasi che l’artefice divino

disposto l’abbia, a far gioire i cuori

e sotto gli alberelli, sì invitanti

trovan vita e ristoro, tutti quanti.

Un incanto di bei frutti, e sempre verdi

contorno suggestivo di farfalle

aromi stuzzicanti, e ben superbi

e il cinquettar di uccelli nella valle

così, fra la bellezza, ed il sorriso

si gode un angolin di paradiso.

Socchiudi gli occhi, e palpiti contenti

ti escono dal cuor come una scia

e a passi concitati, lenti lenti

ti si avvicinan allor: l’Anna Maria

bella e ridente, come un fior di rosa

carina educata, e sì graziosa.

Questo giardino è pure circondato

da due magnolie altissime e fronzute

e da circoli fuori del selciato

e con ortensie grosse, mai vedute

dunque restare qui, ben ci conviene

perché tutto si allieta, e si sta bene.



OSSERVANDO…..


Siamo agli ultimo di Maggio

ma ben triste è la stagione

ed anche l’uomo, il meno saggio

pensa…..questa è punizione.


Sian cattivi ed orgogliosi

senza voglia di pregare

egoisti ed invidiosi

buoni sol per criticare.


Si capisce….mica tutti

pur fra noi c’è l’eccezione

come i belli, come i brutti

come il verno e il solleone.


Ma pur troppo in generale

questo mondo è rovinato

poco è il bene, tanto è il male

e si corre a tutto fiato.


C’è un gran lusso in tutti i campi

pur di andar co la corrente

moderarsi!…..Dio ci scampi

l’ambizione è più potente.


E nissuno vuol tornare

col pensiero nel passato

quando scarso era il mangiare

e il vestire limitato.





STORIA DI UNA PANSE’


Sfogliando un vecchi libro anch’io non so il perché

trovai fra quelle pagine un fiore di pansè.


Corsi dalla mia mamma per chiederne contezza

ed essa baciò il fiore con gioia ed allegrazza.


Poi presolo fra mano narrommi la sua storia

mi disse, era un ricordo di solida memoria.


Quel fiore ben composto le era arrivato un giorno

dentro una scatolina con uno scritto intorno.


E lesse con sorpresa e piena di emozione

che un giovane faceale seria dichiarazione.


Tra il fiore e le parole fino da quel momento

restò così perplessa e fè l’appuntamento.


In fatti in pochi mesi andò sposa col cuore

al caro giovinotto che avea mandato il fiore.


Per questo venne messo nel libro, detto già

i due così si unirono ed esso, è il mio papà.


Perciò bene a ragione tanto papà che mamma

conservano quel fiore che suscitò la fiamma.


Ora che so la storia di questo messaggero

inneggio alla memoria del fiore, del pensiero.





I LAMENTI DI UNA ROSA


Fui trapiantata piccina piccina

allevata con tanta premura

molto più che non avevo la spina

e promettevo una bella verdura

il mio fiore, doveva esser giallo

e screziato, color del corallo.

Dopo un anno ero molto cresciuta

raggiungevo due metri di altezza

ero florida e tanto fronzuta

da pensare, a una futura bellezza

quando invece...un fatale destino

dei miei cimi, sentivo il declino.

Come quando un prudore ci assale

io provavo un fremito forte

che pian piano, faceami un gran male

e mi rendeva le foglie sì smorte.

Eran vermetti, dal dorso tagliente

che per vederli, occorreva la lente.

E mi rosero tutti i cimelli

e mi tolsero quasi la vita

eran tanti, insistenti e ribelli

tutti a farmi una guerra accanita

Tanto che, non si accorser nemmeno

quando gli venne dato il veleno.

Ma perché, vermiciattoli infami

rovinare le piante innocenti?

Riversate su oggetti malsani

il veleno che avete nei denti

Che per voi, con tanto dolore

rinunciare, ho dovuto al mio fiore.

Insetti malvagi e ben parassiti

tanto ingordi del mio buon’umore

i miei steli avete avviliti

procurandomi tanto dolore.

Almeno che Dio vi destini

mille miglia, al di là dè confini.


UN CONSIGLIO TROPPO DELICATO


(Giovanotto)

O mio caro e buon Tiberio

ti volevo giusto parlare

ho bisogno d’un consiglio

che a te posso confidare.

(Tberio)

Io non so di che si tratta ma se sono competente

e mi tieni per fidato

parla pur liberamente.

(Giovanotto)

Io vorrei prendere moglie

ma capisco, che è un azzardo

purchè abbia ora trent’anni

e che già ne sia in ritardo.


Non m’importa che sia ricca

e neppur che sia una scienza

ma vorrei che fosse docile

e dotata di pazienza.


Così io con vero affetto

e con cura e con amore

ne farei una buona sposa

sempre pronta a farmi onore.


Ma ci credi non mi attento

e non so dove picchiare

vorrei fosse onesta e seria

e che sapesse risparmiare.


Dunque su, caro Tiberio

ora aspetto il tuo consiglio

tu che sei saggio ed esperto

puoi trattarmi come un figlio.

(Tiberio)

Prender moglie, è presto detto

ma il consiglio è delicato

qui si tratta, giocà a lotto

e se vinci, hai indovinato.


Prima di tutto ti ci vuole

una villetta presso il mare

un automobile elegante

per portarla a passeggiare.


Per pulire e cucinare

ti ci vuol pure una donna

e una sarta molto brava

pè aggiustar, la mini-gonna.


Poi tu devi veder poco

e sentirci pure meno

obbedire ai suoi voleri

e mostrarti ognor sereno.


Credi caro giovanotto

il mio consiglio è assai dubbioso

meglio è far come tu credi

e qui, dirti altro non oso.


Non tu dico che poi tutte

siano fatte alla moderna

ma a distinguerle ci vuole

di Aladino la lanterna.

Io ti ho messo in evidenza

ciò che segue alla giornata

ora pensaci, e rifletti

pria di fa una buggerata.


Perchè anche se un domani

ti dovessi poi pentire

a te solo, puoi imprecare

e….mea culpa, allor puoi dire.

(Giovanotto)

Ti ringrazio buon Tiberio

del ragguaglio che mia hai dato

perché così, so regolarmi

per la scelta dello stato.



LA FINE DELLA MOSCA


Che noiosa di una mosca vagabonda e impertinente

la sua vita è troppo losca nei riguardi della gente

Dico losca, perché è ladra

da ogni parte che ne vada.

Porta seco l’aria infetta che trasmette a suo piacere

e da tutti è maledetta e nissun la può vedere

E più uno, via la scaccia

se la sente sulla faccia.

E si posa per la strada e su cose sconce, e

nei pozzignoli ci guada vero microbo volante

Senza scrupolo, e rispetto

per ovunque, ha il gabinetto.

Dopo tutto è assai golosa per il dolce ha preferenza

e col sibilo è noiosa che fa perder la pazienza

Ma finisce...signor sì

cò una dose di D.D.T.





ATTUALITA’ POCO PIACEVOLI


L’argomento che ora tratto no, non è fuori di strada

perché l’uomo ben distratto al dovere più non bada.


In famiglia e sul lavoro non si usa il buon parlare

anche i vecchi, si fra loro più non guardano al morale.


Una volta si attendeva a dar sempre il buon esempio

la virtù si difendeva senza far di questa scempio.


Ora invece la modestia non esiste fra la gente

ed al pari di una bestia non fa scrupolo di niente.


Poi si vedono gli effetti delle donne, specialmente

che nel colmo dei difetti son spavalde lietamente.


Esse non hanno più vergogna si allontanano da’ buoni

ed al par, di una carogna se ne attirano i mosconi.


Noi vediamo de’ bei visi divenire scialbi e smorti

invecchiare, senza sorrisi e che più non han conforti.


Tutta inutile la scienza e la gloria de’ mondani

ma la fede e l’esperienza ci consigliano esser sani.


Sani, onesti e decorosi di costume saggio e forte

ben pensando, e premurosi che ci coglie poi la morte.


Ed allora col pensiero al passato andran gli sguardi

ma quel nuovo messaggero griderà...che è troppo tardi.



LA TRISTEZZA


La tristezza vagabonda lascia scosso ogni morale

e più insiste, più si abbonda e non trova alcun rivale

che sollevi quei sospiri e la tiri su di giri.

Certamente che non serve di tentar la soluzione

con la flemma ci si perde senz’alcuna conclusione

per scacciare la tristezza ci vuol forza, ed allegrezza.

Quello stare a capo chino con la mano nella mano

ne danneggia, anche il vicino e per niente, risolviamo

qui bisogna ragionare e la tristezza abbandonare.

Ogni sforzo! E….sugli attenti con il volto ognor sereno

dichiarandoci contenti pure essendone, più o meno

tanto è inutile pensare ancor c’è da camminare.

Ed allora, su coraggio lavoriam più che si puole

dopo Aprile, viene maggio dopo la pioggia torna il sole

e se occupati ce ne stiamo meno tristi ci sentiamo.

Ci vuol fede e comprensione senza aver troppe vedute

e pregar con devozione che il buon Dio ci dia salute

tutto questo è l’alimento che mantiene il cuor contento.



SERATE D’AUTUNNO IN FAMIGLIA


Doto che son più lunghe le serate

si può far quattro chiacchiere alla buona

mentre il capoccia gira le bruciate

e la moglie che scorre la corona.

Tutti uniti in silenzio, per pregare

in un bel cerchio, intorno al focolare.


E’ un’armonia di palpiti e parole

è un dolce lento della vita umana

dove il padre, la madre, e la lor prole

vivono di concordia, ben cristiana

e fra quelle pareti, c’è il sorriso

la pace, la gioia, il paradiso.


Quando il capoccia ha cotto le bruciate

la moglie ne prepara il tavolino

sul quale mette piattelle separate

per figli grandi, e per quello piccino

Allora, tutt’intorno, fanno onore

alle buone castagne, e al genitore.


Sul tavolo c’è il fiasco del vinello

e la moglie lo versa nel bicchiere

quando un bimbo ricciutino e snello

dice: babbo, tutti allegri voglian bere

Tanto possiamo stare ben tranquillità

che col vinello, non si viene brilli.


Il babbo sorride e da un’occhiata

al piccolo Gigin che si addormenta

ma la moglie che già, si è preparata

li porta tutti a letto, ed è contentava

E mentre ciascun la sua preghiera dicembre

il padre ascolta….poi li benedice.


Allora resta solo con la sposa

per vedere del giorno gli operati

e la conversazione, è si armoniosa

come fossero ancora fidanzati.

Poi si scambiano un bacio, stretto stretto

e si felici, se ne vanno a letto.



UN’ORTENSIA


Un’ortensia in buono assetto

entro un piccolo vasetto

avea tirato su di botto

tanti fiori, eran trentotto.


Fece i primi scoloriti

proprio scialbi e steriliti

tanto che, per parte mia

la volevo tirar via.


Ma un’amica qui d’intorno

hai a provar mi disse un giorno

adottar questo mio modo,

alla radice metti un chiodo.


E fra ruggine ed umore

esce fuori un bel colore

poi la tieni ben fornita

e vedrai una gran fiorita.


Attenendomi al sermone

io vi posi un bel chiodone

proprio un chiodo lungo e grosso

ed il fiore….venne rosso


La fornii poi con il Fito

suo governo preferito

e riuscì, si tanto bene

.che il ritratto, ci feci assieme.



ALLA FONTE


Alla fonte a empir la secchia

vanno questi, vanno quelle

va la giovane e la vecchia

van le brutte e van le belle

e a braccetto, fra le occhiate

van le coppie innamorate.

Con piacere il recipiente

viene posto sotto il grillo

mentre s’empie su bollente

lui la guarda ben tranquillo

poi le toglie, giù il secchiello

e rincasano, bel bello

Quanti notti silenziosi

va sentendo quella fonte

quanti gesti affettuosi

quanti segni a bassa fronte

Ed a volte in quel momento

esce fuor….l’appuntamento.



DUE NUOVE STRADE


All’entrata nord del nostro castello

c’è una nuova sta per Gretaglia

e questa parte proprio dal Portello

e va dritta verso Dezza, non si sbaglia

Una strada che ha molti stava a cuore

e che adesso si chiama: via del sole.

Questa abbrevia moltissimo quel tratto

sia per molti che vanno a lavorare

sia per le belle case che si han fatto

e per l’estetica che alla vallata appare

Lì fra le piante, che le fan corona

e fra il profumo dell’erbe, e l’aria buona.

Da questa via del sole noi vediamo

il Serchio, cò monti che gli stanno attorno

le ville che ricopron tutto il piano

e la strada che sbocca a Calavorno

E vediamo pur serpeggiare la ferrovia

con gran soddisfazione e simpatia.

E sempre dal Portello si dirama

con lo snodarsi di quel crocivia

una strada che va per Gromignana

e una che ci porta all’Osteria

E proprio qui, con solo due riprese

si entra pari pari nel paese

Ora parlian di un’altra nuova strada

che parte dalla via di Gattoline

attraversa i bei campi, e chi ci bada

vede da cima a fondo, la sua fine

cioè dove l’occhio, fino arrivar puole

e si ricongiunge in Dezza, con la via del sole

Fu discusso un pochetto per trovarle il nome

che ci voleva giusto, concreto, ed appropriato

perché davver, lo meritava bello e come

nissuno l’avrebbe mai pensato

ma dopo escogitato ogni commento

fu chiamata la via del Risorgimento .

Questa da verde piante e fiancheggiata

fresco, e ornamento che ne fan duello

è molto ben messa, ed è tutta asfaltata

e da qui, si vede pur tutto il castello

E sopra in alto, con antico stile

vediam la torre, la chiesa parrocchiale e il campanile

Poi sempre voltandosi alle spalle

vediam tutto il bel verde che ravviva

che circonda le ville sparse in questa valle

e rende la zona accogliente e suggestiva.

E se il buon Dio ci da pace e salute

tutti ci goderem, queste vedute.



L’ESATTORE


L’esattore, pover’uomo

e da tutti poco accolto

anche se è molto cortese

elegante, e bello in volto.


Ma pur troppo è comandato

sottoposto all’obbedienza

e sebbene, non incontri

deve aver molta pazienza


Ei si pone nell’ufficio

ed aspetta i pagamenti

e se alcun non vuol pagare

gli fa i pignoramenti


Se potesser gli esercenti

far così con i morosi

scuoterebbero il giubbone

ai clienti baldanzosi


Che se uno li ha sfamati

e calzati e rivestiti

non gli chieda pure i soldi

perché allora son feriti


Si dimetton dal comprare

e vi dicon chiaramente:

me li hai chiesti? Ha fatto male

per scorno, non piglia niente.



PER NOZZE



Oh! Giornata solenne e avventurosa

che lascia i ricorsi più sentiti

nel volto sereno della cara sposa

nel cielo puro che gli sposi ha uniti

e come colombi belli, e affezionati

il ciel li ha messi insieme, e li ha baciati

Bravissimi sposi! Iddio vi doni

ogni sorta di ben che vuole il cuore

e la salute, la pace e l’armonia

restino ferme nel possente amore.

E lo sposo possa dire, ogni momento

cara sposina mia, sono contento.

E questi auguri siano rafforzati

da quotidiano affetto ben profondo

e quel – si – che oggi vi siete scambiati

sia l’eco eterno, e sempre sia giocondo

passando così la vita, in allegrezza

fra un bacio, un sorriso, una carezza.




BRINDISI


Ora per ben finire, un brindisi facciamo

che si deve sentire, per fino da lontano.

Al cozzo dei bicchieri, ciascuno allegro sia

brindiamo ben festosi e tutti in armonia

dicendo festosi: evviva gli sposi!!



LA NEBBIA


Sulla porta sta l’inverno

col suo manto di squallore

le giornate sono brevi

ed il sol, non ja più calore.


Tutta spoglia la campagna

tutte brulle e piante e fiori

solo verde è la speranza

che l’inverno poco duri.


Però il alto si sta bene

perché c’è limpido il cielo

e l’aurora, mattutina

dileguare sa ogni velo.


Ma così non è nel basso

dove la nebbia prepotente

sta avvolgendo, tutto quanto

sotto un tetto, non accogliente.


Ghivizzano è pur coperto

del mantello mentovato

e sol la torre, e il campanile

sono fuor di tale stato


Che sfidar posson la nebbia

per l’altezza, sì maestosa

e così l’impertinente

arrivar lassù, non osa.



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N.B.:Gli accessi dagli USA si riferiscono anche ad "accessi tecnici" del sistema