Estratto dal Libro di Giorgio Tori

                                     “INVENTARIO DELL’ARCHIVIO 

                             STORICO DI COREGLIA ANTELMINELLI”


                                            Editrice Maria Pacini Fazzi

                                                         Lucca 1983

                                                       GHIVIZZANO


   Secondo le norme dello statuto più antico (1586), l'effettiva direzione della Comunità era affidata a sette «nativi di ditto Comune, buoni, providi e discreti», con il titolo di Conservatori del Comune. La loro elezione doveva avvenire, per iniziativa degli Officiali, nel seno del Consiglio di Comune, e la loro carica durare per lo spazio continuo di un anno (1).

Consiglio

Al consiglio di Comune partecipavano di diritto tutti i capi famiglia maschi, di età superiore ai venticinque anni. Le riunioni erano indette mediante il suono della campana, ed era sufficiente che vi intervenissero trenta uomini perchè la riunione fosse legalmente valida. Lo statuto prescriveva esplicitamente che le votazioni, per essere valide, dovessero sortire la maggioranza dei due terzi dei presenti (2); nel corso delle riunioni del Consiglio era esplicitamente e severamente proibito il bestemmiare «o dire verso di alcuna persona alcuna parola ingiuriosa o smentire per la gola», portare armi «nè falchi nè pennati, nè segure nè ferri di sorte alcuna» (3); la raccolta dei voti doveva essere effettuata dagli Officiali con la massima segretezza, in modo che «nessuna persona non ardischi in modo alcuno rendere i partiti in nelle bussile o berette alla scoperta» (4).

Questo tipo di organizzazione subì un radicale mutamento nel 1749, a seguito di una relazione presentata agli Anziani il 24 ottobre ed approvata dagli stessi il 12 dicembre. Nella relazione si accennava esplicitamente alle lamentele presentate dagli uomini di Ghivizzano per le «confusioni e disordini che seguono nelle radunanze della medesima Comunità». Si prevedeva pertanto un «nuovo Regolamento» che poggiasse essenzialmente sulla costituzione di due Congregazioni di 24 uomini ciascheduna, con l'incarico di governare alternativamente un anno a turno (5).

In ogni Congregazione non potevano intervenire parenti in primo grado di consaguineità, e l'attività doveva iniziare alle calende di gennaio di ciascun anno. Il meccanismo per la determinazione dei componenti le Congregazioni poggiava sulla scelta di 48 nominativi, effettuata dai sette Governatori in carica nel mese di dicembre, fra i comunitativi maggiori degli anni venti. La determinazione dei primi 24 doveva avvenire mediante l'estrazione a sorte fra i 48.



(1) A.C.C., Statuti n. 7, c. 1 r.

(2) Ibidem, cc. 2-4. Cfr. F. LERA, Lo Statuto della Comunità di Ghivizzano del sec. XVI, in Giornale Storico della Lunigiana, 1975-1976, pp. 249-250.

(3) Ibidem, c. 4 v.

(4) Ibidem, c. 5 r.

(5) Ibidem, c. 95 v


Questa regola veniva però a mutare dopo i primi due anni dall'entrata in vigore del nuovo regolamento; in tale data infatti i sette Governatori in carica dovevano riunire la Comunità e proporre l'elezione di sei uomini con il titolo di «Riformatori». Scelti con la maggioranza dei due terzi, i «Riformatori» si riunivano con i Governatori e procedevano alla pallottazione dei 24 nominativi già scelti per l'anno a venire, con la facoltà di escluderne alcuni se alla pallottazione avessero ottenuto per due volte il voto contrario. Perchè poi le riunioni del Consiglio fossero valide, si stabiliva il numero legale in 20 uomini, e la maggioranza nelle votazioni richieste era fissata nei tre quarti dei presenti (6).

Accanto a queste norme relative all'organizzazione della Comunità, lo statuto più antico non ci fornisce notizie dirette sugli ufficiali minori, che sicuramente affiancavano i principali organi deliberativi e di governo.

Notizie un poco più precise si possono ricavare dalla lettura di un secondo testo statutario, molto più tardo, e frammentario, che è per altro al riguardo relativamente meno conciso. Si tratta di 114 parziale convalida di alcune norme statutarie precedenti, votata il 9 dicembre 1802, con lo scopo dichiarato di «fare che abbiano la loro piena osservanza come ne' tempi addietro da approvarsi ogni anno acciò la Comunità suddetta ín avvenire sia amministrata con la maggiore esattezza e puntualità che sia possibile» (7).

Il testo è composto da soli undici capitoli, di evidente derivazione dalle statuizioni precedenti. In essi si parla dei Governatori, ancora in numero di sette, e del Consiglio di Comune, nuovamente formato dai capi famiglia maschi della Comunità «fino a tanto che non formerà il numero di 30, i quali potranno disporre degli affari di detta Comunità» (8).

Officiali

Nell'articolo sesto si accenna a quattro Officiali del Comune «i quali doveranno esser sortiti per biglietto e saranno obligati a dovere riscuotere la Colta dei tre mesi per tre mesi, come pure i sequestri che li verranno nella loro amministrazione» (9). Il nominativo dei prescelti doveva essere approvato dalla Comunità; all'atto della ratifica dell'elezione erano tenuti a dare un «pagatore», ossia un garante per tutto il tempo del loro officio. Ricevevano un salario mensile.

Cancelliere

Accanto agli Officiali compare esplicitamente la figura del Cancelliere, anch'egli pagato ed obbligato «a tenere un registro di tutti i libbri di detta Comunità, con dovere tenere con esattezza in punto tutte le bacchette distinte, tanto del sale, come delle colte, come pure di tutte le spese di entrate di detta Comunità, da poterne dar conto a qualunque minima richiesta, non potendo fare alcun pagamentotanto l’Offiziale quanto il Camarlingo,


(6) Ibidem, c. 96 r.

(7) Ibidem, c. 4 r.

(8) Ibidem, c. 2 r.

(9) Ibidem, e. 2 v.


 se prima non l'averà contraposto il Cancelliere alla sua Bacchetta, ove doverà confrontarsi con le altre spese ed uniformarsi al Sindacato, quando si faccia dai Sindaci». In questo articolo 7° si fissava inoltre un limite massimo di quindici lire, oltre il quale il Cancelliere, pur con il consenso dei governatori, ma non della Comunità, non poteva effettuare mandati di pagamento (10).

Sindaci

L'accenno contenuto nel citato articolo all'esistenza dei Sindaci è, curiosamente, l'unico che ci è dato rinvenire in tutte le norme statutarie relative a Ghvizzano, che si conoscono. Ciò è abbastanza strano, se si considera che i Sindaci erano una istituzione costantemente presente in tutti gli ordinamenti Comunitari della Repubblica, avendo, fra gli altri compiti, quello essenziale di rappresentare la Comunità nel parlamento della Vicaria.

Ancora degne di menzione sono le norme contenute in questo secondo testo statutario, mediante le quali si prescriveva esplicitamente che «non si possa in avvenire dare nissuno Partito se prima. non sarà steso nel presente libro e letto in piena radunanza alla presenza dei Governatori» (11); e quella che prescriveva la generale impossibilità di cumulare nella medesima persona più uffici, stabilendosi che la durata degli incarichi, ad eccezione soltanto di quello di Cancelliere, non potesse essere superiore ad un anno.

Docai

Se escludiamo queste poche norme relative all'organizzazione istituzionale della Comunità, che ci mostrano un quadro non affatto diverso da quanto rilevato a proposito delle altre Comunità della Vicaria, i testi statutari pervenutici si dilungano su una serie di disposizioni particolari che si caratterizzano immediatamente come proprie ed esclusive di Ghivizzano. Così l'articolo 5° dello Statuto, che si occupa della tenuta e della pulizia dei «docai», ossia dei canali di irrigazione che solcavano il territorio del Comune. Il testo dichiara esplicitamente che «di quanta utilità siano li docaii i nel ditto comune a ciascuno è manifesto» (12), stabilendo che «ciascuna persona la quale harà alcun pezzo di terra sua propria o in allogagione, la quale fusse dalla parte di sotto di alcun docaio» sia tenuto ad effettuare in ciascun mese di aprile delle pulizie alla parte di canale lungo il quale corre la sua terra, alla pena di 20 soldi di multa. Gli Officiali della Colta dovevano, a loro turno, entro i primi otto giorni di maggio ispezionare tutti i «docai» del territorio, ed elevare le relative multe agli inadempienti (13). Il testo parla in particolare di un «docaio maggior di sopra» che partiva «da luogo della chiesa di san Michele di Coreglia, o vero dal solco dal colle per in fine


(10) Ibidem, c. 3 r.

(11) Ibidem, C. 3 r.

(12) Ibidem n. 6, c. 6 r.

(13) Ibidem, c. 6 v.

 


a luogho che era di Nicolao di Antonio, che al presente è di Rocco da Capannori» (14) ed accenna all'esistenza di altri numerosi canali che attraversavano il territorio comunale. Per l'uso delle acque era esplicitamente richiesta l'autorizzazione dei sette Conservatori del Comune «o di chi fusse eletto sopra di ciò da ditti sette, o vero dal Comune» (15), e si stabiliva che i tramutanti che avessero voluto usufruire delle acque dei «docai» avrebbero dovuto pagare la somma di 6 bolognini per ciascun staio di terra annacquato, e i forestieri quella di 20 bolognini.

Forestieri e tramutanti

Quello dei forestieri e dei tramutanti è uno degli argomenti ai quali le norme statutarie di Ghivizzano danno largo spazio. «Acciò che i nostri originali homini del nostro comune habino maggior privilegio dalli altri avventitii, li quali sono venuti ad habitare nel ditto Comune» (16) lo statuto prescrive che tanto loro quanto i loro figli e nipoti debbano pagare, sia i maschi che le femmine, la somma di 10 bolognini per ogni colta ordinaria, se maggiori dei 14 anni, ridotta alla metà se inferiori a questa età; i tramutanti e i loro figlioli erano invece tenuti al pagamento di soldi 10 per ogni individuo superiore agli anni 14, e soldi 5 per i minori. Nè la differenziazione impositiva si fermava qui, poichè tanto i tramutanti che i forestieri erano inoltre tenuti al pagamento della somma di due soldi per ogni bestia minuta, posseduta sul territorio del Comune. La volontà di creare una situazione nettamente sfavorevole alle immigrazioni interne, in linea con quanto rilevabile a proposito delle statuizioni delle altre Comunità della Vicaria, sembra in Ghivizzano particolarmente accentuata; l'articolo 6° dello statuto più antico, che abbiamo fin qui esaminato, stabilisce infatti che tali pagamenti imposti ai forestieri e ai tramutanti si intendano applicabili a coloro che già si trovano nel territorio del Comune, mentre per quelli che vi si trasferiranno in avvenire le somme da pagare vengono decisamente inasprite, col portarle a 20 bolognini per i forestieri maggiori dei 14 anni, a 10 per i minori, e a 10 e 5 per i tramutanti maggiori o minori dei 14 anni (17). Anche la tassa sul bestiame viene rivalutata proporzionatamente, e fissata in 4 soldi per ogni animale bovino e 4 quattrini per quelli minuti.

Queste disposizioni mutarono notevolmente a seguito di un decreto del 7 marzo 1668, mediante il quale si stabili che la tassa da pagare da parte dei tramutanti e dei forestieri dovesse pesare solamente sui capi famiglia «e l'altri della famiglia non siano tenuti pagare cosa alcuna» (18). In tale occasione però la somma imposta veniva notevolmente elevata portandola indistintamente ad uno scudo per colta.

Gli echi di questo atteggiamento ostile nei confronti di coloro che provenivano



(14) Ibidem, c. 7 r.

(15) Ibidem, c. 7 v. Cfr. F. LERA, Lo Statuto , p. 251.

(16) Ibidem, c. 8 r.

(17) Ibidem, c. 10 r.

(18) Ibidem, a. 65 v.


 dal di fuori della Comunità si percepiscono concretamente dal testo di un altro decreto, votato il 6 giugno 1631, con il quale si proibiva, sotto gravi pene, a chiunque «di alloggiare nessuna persona che sia fuori della nostra terra di Ghivizzano» (19).

Che le somme imposte ai tramutanti e ai forestieri in Ghivizzano fossero piuttosto gravose, se ne accorsero anche gli Anziani, sollecitati da un ricorso presentato in tal senso da un certo caporale Michelangelo Pierucci da S. Concordio di Moriano, tramutante, nel 1767. In tale occasione fu investito del problema uno degli Anziani, che nella sua relazione al Consiglio, dopo molte sottili considerazioni, si esprimeva trovando che la tassa di 30 lire gli sembrava «molto 'eccessiva sia perchè non si osserva distinzione alcuna fra i tramutanti ed i forestieri, sì perchè, e hanno le Comunità suddite diritto d'imporre queste tasse, non competendoli per altra ragione che rapporto all'uso che hanno de' Comunali gli estranei, tramutanti o forestieri che siano, secondo il vantaggio che questi ritrar possono dai Comunali, regolandosi per conseguenza la quantità delle tasse. Et essendo certo che avendo la Comunità di Ghivizzano allivellati tutti i Comunali di là dal fiume, e la spiaggia dalla' parte di qua verso il Castello non essendo tutta libera, per esser parte di essa alluogata, o allivellata o bandita, e quel poco che ne resta non essendo atta che al pascolo, per cui ancora pagansi la fida di quattro soldi per ogni bestia vaccina, e quattro quattrini per ogni bestia minuta, non può formare un oggetto per cui possa consentirsi che quella comunità gravi i tramutanti della cospicua tassa di lire 30, quando altro utile non ritraggono, che la battaglia servendo nelle Militie» (20).

Gli Anziani trovarono giuste le osservazioni contenute nella relazione, ed il 31 agosto 1767 ridussero di imperio la tassa a 10 lire all'anno, confermando invece quella gravante sul bestiame.

Bestie

La possibilità di condurre al pascolo bestiame proveniente da altri luoghi è attentamente esaminata dal capitolo 7° dello Statuto antico, alla luce della ricorrente preoccupazione che «il ditto comune ha sì piccol territorio che a-ffatica supplisce alle bestie del ditto Comune» (21). Partendo da questa considerazione di fatto si proibì genericamente che bestie «furistiere» potessero venir condotte a pascolare nel territorio del Comune «e s'intendino furistiere tutte quelle che non saranno di persone di ditto Comune, o in quello habitante».

Accanto dunque a quello di proprietà dei forestieri e dei tramutanti abitanti nella Comunità, per il quale si è visto un particolare e preciso regime fiscale, tutto il bestiame viene interdetto dalla possibilità di pascolo, sotto pena di 20 bolognini di pena per le bestie minute e 40 per quelle bovine. Chiunque avesse compiuto 18 anni avrebbe avuto facoltà di denunciare ed accusare la violazione


(19) Ibidem, c. 72 r.

(20) Ibidem, cc. 106 r.v.

(21) Ibidem, cc. 10 r.v.


di questa disposizione, riferendone allo scrivano, o all'officiale delle Colte o ai sei Conservatori.

In deroga a questa generica e rigorosa norma lo statuto prevede alcuni casi particolari. Così «quelli che vorranno venire con le loro bestie a-lloggiare alle stalle di persone di ditto Comune per quel tanto tempo che ci alloggeranno, possino pasturare in sul ditto territorio, fuori de' danni particolari, pagando quattrini dui per bestia minuta al mese» (22). Era però necessario che ne avessero esplicita licenza da parte dei sette Conservatori.

Nel caso poi che alcun comunitativo «havesse dato o che volesse dare bestie minute o baccine in soccio, o a mezo ad alcun furistieri possi che sia licito poter condurre ditte bestie a pasturare in su ditto territorio, fuora de' danni particolari, ancora che non allogino alle stalle, come di sopra, ma debbino pagar quattrini uno per mese per bestia minuta, e quattrini 3 per bestia grossa». Anche in questo caso la deroga doveva venir espressamente autorizzata dai sette Conservatori, dopo che gli stessi avessero potuto controllare il «contratto di soccita, et darli buono giuramento che non sia contratto finto et simulato» (23).

Le eccezioni alla norma più generale, contemplate dallo statuto antico, furono soppresse ed escluse da due decreti, uno datato 7 maggio 1667, e l'altro 4 ottobre 1672 (24). Nel primo dei ricordati decreti si denunciava esplicitamente «lo stato miserabile in cui si ritrova la Comunità di Ghivizano rispetto a' danni che giornalmente si riceve per le bestie che s- tantiano nel comune, cioè nelle macchie e nelle selve di Costa Maltigliata» (25). La preoccupazione denunciata dal decreto non si fermava soltanto ai danni causati dal bestiame, bensì denunciava anche un altro grosso pericolo causato «per il tenere strami et fieni nel Castello, per il cui si vede gravi incendii d'arsure di case». Si vietò pertanto a tutti i comunitativi di introdurre per qualsiasi motivo bestie forestiere nella Comunità, di tenere paglia e fieno nei fondi del Castello, unitamente a bestiame vaccino ed ovino (26).

Danni dati

Il tema dei danni dati è ricorrente in quasi tutte le statuizioni rurali, e come già visto non mancano in quelle relative a Ghivizzano. Il capitolo 26° dello Statuto lo disciplina sulla falsariga di quanto fatto in molti altri statuti: ciascun abitante della Comunità, maggiore dei diciotto anni, aveva il diritto-dovere di poter rilevare e denunciare danni effettuati ai suoi o ai beni di qualunque altro comunitativo. In particolare dai Governatori venivano scelti due guardiani dei danni dati, che dovevano sorvegliare tutto il territorio comunale, e provvedere alle denunzie. L'entità del danno veniva stimato e quantificato dagli Stimatori, e messo poi in colta, imputandone il pagamento al danneggiatore, «et ad en-


(22) Ibidem, e. I l v.

(23) Ibidem, cc. 12 r.v.

(24) Ibidem, cc. 64 r. e 73 r.

(25) Ibidem, c. 63 r. X26) Ibidem, cc. 63 v. e 64 r.


trata et utile di chi ha ricevuto il danno» (27). Il capitolo 12° dello Statuto stabiliva che, qualora le denunce di danno provenissero da parte dei privati, per ogni denuncia si dovesse pagare una determinata somma, a seconda che il danno fosse stato arrecato di giorno o di notte, da persone o animali grossi o piccoli «et delle dette Pene o accuse si debbino distribuire per una terza parte allo accusatore, un'altra terza parte a chi haverà ricevuto il danno, l'altra terza parte al Comune nostro» (28).

Nella pratica i danni erano in gran parte dati alle colture o al patrimonio boschivo, e in particolare alle piante di castagno che costituivano il più rilevante patrimonio forestale della comunità. L'articolo 11° dello Statuto proibiva tassativamente a chiunque di tagliar fronde di castagno «quali si adoprano a fare il castagnaccio, nè in sul suo nè in su quel d'altri nè in sul territorio di Ghivizzano; nè in su quel di altri Comuni» a pena di 20 bolognini per ogni accusa. Il divieto era limitato nel tempo sino alla festa di San Lorenzo, ossia sino al 10 di agosto (29). Questo divieto era generalizzato ed inasprito dal capitolo 28° che proibiva a chiunque di «tagliare nè far tagliare nè sbucchiare, nè guastare in qual si voglia modo castagni in sul territorio di ditto Comune, nè rami di essi verdi nè sechi, alla pena et sotto la pena di bolognini 75 per ciaschuno contrafaciente et ciascuna volta, et di pagare et emendar il danno al padrone della selva et beni a stima delli stimatori del Comune o di altri che siano comuni amici» (30). A questo proposito si prescriveva inoltre che «alla satisfatione et pagamento di tal pena li padri son tenuti per li figliuoli e moglie e li padroni per li garzoni, et li fratelli maggiori per li fratelli minori e sorelle» (31).

La preoccupazione di evitare danni alle selve di castagno è alla base del decreto votato il 7 dicembre 1618, mediante il quale si proibiva a chiunque di vendere a forestieri «legname di castagno da viti», ossia legname per fare pali e calocchie. Il divieto è sancito sotto gravi pene, e contempla anche il caso di chi volesse direttamente vendere tale legname fuori della Comunità. Particolarmente rigoroso era per le selve di proprietà comunale, mentre chi avesse voluto vendere legname fatto sul suo era comunque obbligato a comunicarlo ai Conservatori, dai quali doveva ricevere espressa «poliza», con l'autorizzazione (32).

Il decreto, riconfermato con lievi difformità da quelli del 28 maggio 1735 (33), 14 marzo 1745 (34), 5 novembre 1748 (35) e 30 settembre 1770 (36), subiva delle eccezioni periodiche con le quali si dava ad incanto l'appalto del legname delle macchie, sulla riva del Serchio, di proprietà della Comunità.

 

(27) Ibidem, c. 28 v.

(28) Ibidem, c. 16 v.

(29) Ibidem, cc. 15 r.v. Cfr. F. LERA, Lo Statuto p.'250

(30) Ibidem, c. 30 r.

(31) Ibidem, c. 30 v.

(32) Ibidem, cc. 36 v.-37 r.

(33) Ibidem, cc. 80 r.-81 r.

(34) Ibidem, cc. 87 r. e v.

(35) Ibidem, cc. 91 v.-92 v.

(36) Ibidem, cc. 110 v.-113 r.


In tali occasioni si provvedeva per altro a fissare dei limiti, temporali e qualitativi, in modo che il taglio non risultasse pregiudizievole all'esistenza futura delle macchie.

Il capitolo 31° dello statuto faceva a suo turno generale divieto a chiunque, senza espressa licenza dei Conservatori, di tagliar legna su tutte le proprietà comunali, e in particolare nella macchia «della costa maltagliata», sopra le piagge del fiume da' piedi della grotta del dente adirizando al termine che è in sul canto del piano di Strignano che termina fra il Comune di Coreglia et di Ghivizzano» (37). Assieme a questo divieto di legnatico, un decreto del 18 aprile 1625 vietava il pascolo sulle Piagge del Serchio (38). La preoccupazione legata alla progressiva riduzione del territorio comunale adatto al pascolo viene lucidamente denunciata nel decreto del 18 settembre 1627, in cui si dice che «havendo considerato che molte persone del nostro Comune, per bisogno, hanno venduto o vendeno del continuo molti beni boschivi et aselvati tanto vicini a' fiumi quanto in altro luogho, a persone fuori del nostro Comune di Ghivizano, et al detto Comune li risulti grandissimo danno, perché questi beni, ch'hanno comprato, e che comprano la maggior parte li disodano, e ci fanno luoghi vignati et arativi, così che alla nostra Comunità vengano ristrette le pasture delli nostri bestiami, che è di nostra gran perdita»; si vietò perciò a chiunque di effettuare disboscamenti sul territorio del Comune, anche se di privata proprietà, senza espressa e preventiva licenza dei Conservatori (39).

La necessità di allivellare parte dei beni comunali, determinata in momenti diversi dai carichi e dai debiti della Comunità, non impediva di riaffermare l'obbligo per i livellari di non disboscare o dissodare «ma di bene impiantare castagni» (40), ma la tendenza generalmente rilevabile nel corso degli anni era quella di «bandire» le macchie e le selve, impedendovi tagli e distruzioni da parte di bestiami appartenenti a persone estranee alla Comunità. In questi decreti ricorrenti, si disciplinava l'uso comune delle pasture e del legnatico, mostrando una particolare attenzione ad impedire sfruttamenti eccessivi che potessero pregiudicare nel tempo il sostentamento del bestiame della Comunità (41).

Incanti

Tanto lo sfruttamento dei beni comunali, quanto molti servizi di pubblico interesse, venivano dati all'incanto ai privati, secondo un uso ed una tradizione consolidata da secoli.

Lo Statuto di Ghivizzano non contiene, al proposito, norme di particolare interesse. L'articolo 8° fissava nel giorno di Santa Lucia, il 13 di dicembre, la data nella quale «si debbino fare tutti l'incanti del Comune segondo la usanza


(37) Ibidem, c. 32 v. Il capitolo è mutilo.

(38) Ibidem, c. 38 r.

(39) Ibidem, c. 39 r. e v.

(40) Ibidem, decreto dell'8 dicembre 1640, cc. 47 v.-48 r.

(41) Ibidem, vedi decreti del 23 marzo 1732 a c. 69 r. e v.; del 3 maggio 1747 a cc. 89 v.-90 r.; del 30 settembre 1770 a cc. 110 v.-113 r.


del ditto comune, et colui al quale rimarrà ciascuno incanto, tanto di gran pregio, quanto di piccolo, sia tenuto dar Pagatore, approvato per li sette conservatori, di pagar la quantità e somma de' denari del ditto incanto» (42). L'articolo prevedeva che qualora il pagatore, o garante approvato dai sette Conservatori, si fosse rilevato insolvente, l'onere di provvedere al pagamento dovesse ricadere direttamente sulle spalle dei Conservatori, configurando così una responsabilità diretta per una scelta non risultata ben fatta (43).

Pane

Nelle disposizioni dello statuto antico non si hanno notizie particolari sul regime vigente per la vendita del pane di grano. Normalmente, in statuizioni delle comunità viciniori, era il pane uno dei prodotti dati a provento, vietandosi esplicitamente a privati, sia che fossero comunitativi che forestieri, di venderlo per proprio conto. La prima disposizione relativa a tale commercio in Ghivizzano, che ci è dato trovare, risale al 19 gennaio 1625, ed è dettata da motivi sostanzialmente diversi da quelli di un controllo fiscale su un genere di prima necessità. In fatti nel testo del decreto si dichiara che il divieto di panificare liberamente nel territorio comunale viene sancito «havendo considerato quanto danno à aportato, et continuamente aporta alla nostra Comunità in tenere del pane di grano qua a vendere di quello di particolari persone furistiere»; e poco più avanti «sie visto per li tempi passati essere istato la ruina di molte famiglie della nostra Comunità» (44).

Da questo testo non è facile dedurre i reali motivi della disposizione. La preoccupazione della Comunità era dettata da un eccessivo consumo di un prodotto per la cui manifattura si doveva ricorrere ai grani venduti dall'Offizio sopra l'Abbondanza, o da mercanti, oppure perchè faceva concorrenza al prodotto locale, essenzialmente basato sulla farina di castagne, anche per la panificazione? Il decreto prevedeva una sola eccezione, quella per l'Osteria, che ne poteva tenere, sia per il bisogno di esercizio come anche per venderlo al pubblico «dichiarando però che se ci fusse qualcheduno della nostra Comunità che si volesse aiutare in far pane a vendere, ne possi fare ma non tenerne, nè farne tenere, di quello o di quelle persone che non sono della nostra Comunità» (45).

La disposizione, effettivamente poco chiara nel suo reale significato, venne di lì a poco più di un anno abolita da un altro decreto datato 2 aprile 1626, con il quale si dava licenza a chiunque della Comunità di «tenere pane di grano e di altra sorte a vendere in ditta Comunità... senza pregiuditio» (46), mentre il 13 dicembre 1637 si ripeteva quasi alla lettera la proibizione del 1625. Che in questa materia vi sia stata un'oscillazione di comportamenti sembra chiaro dalla lettura di un decreto del 23 maggio 1737, in cui si parla di un certo chierico

(42) Ibidem, c. 13 r.

(43) Ibidem, c. 13 v.

(44) Ibidem, c. 37 v.

(45) Ibidem.

(46) Ibidem, c. 38 v.


«Giullianò Jacopo Antoni, proventuale del'incanto del pane dí questa nostra comunità di Ghivizzano» (47); il decreto stabilisce che «tutti quelli che venderanno pane senza licenza del Proventuale in Comune di Ghivizzano, o suo territorio» Cadano in pena e possano venire accusati di danno. E questo il comportamento generalmente usato nelle comunità della Vicaria, ma a Ghivizzano, per motivi che non ci sembrano chiari a sufficienza, fu sistema di breve durata se soltanto pochi giorni dopo, il 28 maggio, la Comunità votò nuovamente la convalida della proibizione per dieci anni, riportando quasi integralmente il testo del 1625 (48).

Macello

Poche le notizie su un'altra attività di notevole importanza, quella cioè del macello. Nel solo decreto del 24 giugno 1622 si parla di un diritto alla «becca-ria» del Comune, e della necessità per chi volesse macellare in proprio «di andare allo scrivano a darsi in nota e chi macellerà senza licenza cadi in pena». Lo stesso decreto elenca poi i prezzi delle carni, chiarendo che qualora la privativa del macello non fosse riservata al Comune, ma in mano di privati, questi debbano attenersi al calmiere decretato dal governo centrale di Lucca (49).

Proventi

Dalla lettura di diversi decreti risulta che la Comunità esercitava diritti di privativa su due molini, una batticanapa ed un forno per cuocere il pane «quali edifizi sono propri della Comunità» (50), sulla vendita della legna portata dal Serchio sul territorio comunale, sull'esercizio della pesca nel rio Segone, e sull'incanto delle macchie e piagge di sua proprietà (51).

Strade

Due norme precise e circostanziate, contenute nello Statuto più antico, regolano e disciplinano la tenuta delle strade, sia all'interno, che all'esterno del Castello.

Così l'articolo 20°, dopo aver rilevato che «la immonditia e bruttura ragionevolmente debbe dispiacere a ciascuno», stabiliva che non si possano tenere paglia o immondizie nella strada, nè «far o far fare necessari (ossia gabinetti) o vero  luoghi Comuni che rispondino sopra le strade pubbliche, li condutti de' quali non siano coperti di muro fino a terra, e facendo le sue fogne, o non siano mandati coperti fuora della strada» (52). Inoltre si vietava il tenere «necessari» scoperti all'interno delle case, prescrivendosi che «quelli debba murare in fra dui


(47) Ibidem, c. 63 r.

(48) Ibidem, c. 80 v.

(49) Ibidem, c. 76 v.

(50) Ibidem, c. 84 v.

(51) Ibidem, c. 83 r. e v.

(52) Ibidem, c. 22 v. Cfr. F. LERA, Lo Stauto , p. 251.


mesi prossimi dal dì di che li presenti ordini seranno pubblicati et letti in Comune, per modo che li condutti di essi debba et così rimangha in fino a piedi, come di sopra, et in forma che alcuna bruttura non apparrà dalla parte di fuora» (53).

Tutte le strade poi del Castello dovevano venire spazzate ogni sabato, in prospicienza alle case dei privati e a loro cura e spesa, mentre l'articolo 21° genericamente proibiva a chiunque «gittare in su le strade pubbliche alcuna quantità di acqua o di altra cosa putrida, intendendo in su le strade maestre le quali sono dentro del ditto Castello et in le strade pubbliche intorno al Castello» (54), a pena di 4 soldi per ciascuna violazione.

Vendemmia

Orti

Le disposizioni volte a salvaguardare un ordinato svolgimento della vita comunitaria investono svariati campi di attività, che riflettono una economia difficile, ma tradizionalmente poggiante su pochi, sicuri elementi. Così le disposizioni relative alla vendemmia «perchè il vendemmiare repentino comunemente suole essere condannato» (55), che vietavano di iniziare la vendemmia prima che il consiglio di Comune non lo avesse deliberato, o le disposizioni relative agli orti, che ci danno una misura esatta dello spirito comunitario che è alla base di tutte le norme contenute nello statuto del 1586. Vale la pena di osservarle con attenzione, perchè precise ed analitiche. L'articolo 19° rileva come «sia cosa che le famiglie e massime quelle del contado ricevino grande commodità mediante le ortaglie, della qual cosa non essendone ciascuna famiglia provisto ne seguitano molti danni», e stabiliva che «ciascuna famiglia così terrena come furistiera, habitante in ditto Comune, sia tenuto et debba fare a lavorare terreno ad orto, et così ad orto mantenere, alla pena di bolognini 20 per ciascuna famiglia et ciascuno anno» (56). E non ci si fermava a questo obbligo generico, bensì si prescriveva addirittura che «ciascuna famiglia di detto Comune sia tenuta piantare et allevar al manco piedi 300 di cauli ciascuno anno del mese di marzo», ed «ogni anno, per tutto il mese di febbraio, al manco, seminasse un mez o staio di fave», incaricando l'Officiale del Comune di vigilare in tutto il mese di aprile, affinchè tali obblighi venissero rispettati (57).

Porci

Anche la vigilanza sui porci era carico equamente distribuito fra gli abitanti della Comunità. L'articolo 24° dello Statuto prescriveva che «ciascuna persona di ditto Comune et habitante» fosse tenuto a vigilare a turno alla «vicenda de


(53) Ibidem, c. 23 r.

(54) Ibidem, c. 23 v.

(55) Ibidem, c. 20 r.

(56) Ibidem, c. 21 r.

(57) Ibidem, c. 21 v.


porci che si facesse per i tempi» (58), prescrivendo che nessuno potesse «andar per guardia della vicenda che non sia di età al manco di anni XIIII» e precisando che, nel caso che i porci facessero danni, il sorvegliante di turno ne dovesse rispondere personalmente (59).

La paura del fuoco già rilevata a proposito della tenuta nel castello di fieni e paglie (v. p. 44) riecheggia nelle disposizioni dei capitoli 22° e 23°, mediante i quali si vietava espressamente di costruire capanne all'interno del Castello «la cui copertura non sia tutta di piastre o ver tauli» (60), vietando poi genericamente di far fuoco in qualsiasi capanna o metato «che sia coperto a paglia, intendendo paglia quella di grano, segale, orzo, farro, migliarini, panicali, sagginelli e vencigli, o ver frasche» e ciò tanto di giorno quanto di notte, dentro e fuori il Castello, entro limiti ben precisi, indicati nel testo dello statuto (61).

Costruzioni

A norma del capitolo 25°, non era lecito costruire «alcuno edifitio di che maniera si sia de nuovo sopra le acque del Comune» (62) senza espressa licenza dei Conservatori, mentre il capitolo 10° vietava il portare armi e roncole «in sul suo ne in sul quel d'altri» (63).

Istruzione

Una sola norma, ma importante, è dedicata dallo Statuto al problema dell'istruzione. L'articolo 30°, «considerato quanto sia di necessità il mandare i figliuoli alla scuola acciò che imparino le virtù», stabilisce che la comunità debba provvedere alla scelta di un maestro, tanto forestiere quanto di Ghivizzano, con lo stipendio di quattro scudi da pagarsi in ragione di uno scudo per colta.

Festività religiose

Le norme relative alle festività religiose ed alla loro ossevanza sono numerose anche nelle statuizioni di Ghivizzano. Era proibito «fare o far fare alcun  lavoro, nè bastare bestie alcuna, alcun giorno comandato dalla Chiesa, o votivo di detto comune» (64), che lo statuto indicava in quello di Santa Maria Martire del 13 maggio, quello del 28 luglio, di S. Nazario, S. Paolo il 29 giugno, S. Stefano papa e martire il 2 di agosto, S. Maria della Neve il 4 agosto, S. Rocco il 16 agosto e S. Sirio il 9 dicembre. Era poi fatto obbligo ad almeno una persona per


(58) Ibidem, c. 26 v.

(59) Ibidem„ c. 27 r.

(60) Ibidem, c. 24 r.

(61) Ibidem, c. 25 v.: «Cominciando alla Punta del crociale di Canale in I.d. in pianezoli adirizando al solco dal colle et continuando ditto solco per in fine al docaio grande del Comune a confine il campo di San Michele di Coreglia in I.d. a pruneta et di lì pigliando il ditto docaio del Comune seguitando verso ponente ditto docaio fino alla sega delli heredi di.. Francesco di Battista in 1.d. al sigone et lì finendo...».

(62) Ibidem, c. 27 r.

(63) Ibidem, c. 14 v.

(64) Ibidem, c. 19 r.


famiglia di accompagnare «la santissima communione a casa di qualche infermo» (65) al suono della campana, e alle processioni del Corpus Domini e del Giovedì Santo (66). L'intervento di un individuo per famiglia, di almeno 14 anni di età, «alle letanie, procissioni ordinarie et luminarie» (67) era prescritto dall'articolo 15°, similmente era fatto obbligo ad andare ad accompagnare i morti (68).

Discolato

L'istituto del «discolato», ossia del bando dalla comunità di persone ritenute indegne o pregiudizievoli alla tranquillità e all'ordinato svolgimento della vita sociale, fu introdotto in Ghivizzano mediante il decreto del 13 dicembre 1637 «secondo che si usa fare nella Comunità del Borgho» (69), mentre il 29 agosto dell'anno dopo si richiedeva agli Anziani di poterlo effettuare «con l'assistentia del molto illustre signor Commissario di Coreglia» (70). Il 31 maggio 1645 si decretò di dare incarico ai Governatori «delli primi sei mesi di ciascun anno... di andare a pregare detto signor Commissario-,(di Coreglia) perchè si compiaccia venire ad intervenire a tal funtione a Ghivizano, acciò con la dilatione o omissione di tal funtione li malviventi non si faccino ogni di più audaci et temeraria» (71).

Con il decreto del 29 agosto si erano stabilite le formalità ed i modi del'discolato, stabilendosi che nel mese di marzo «alla presenza del signor Commissario di Coreglia si raunino tutti gli homini di detta Comunità nel luogo solito al suono della campana». Riunita la Comunità, il Commissario, assieme ad un sacerdote appositamente eletto, doveva ritirarsi in luogo appartato e ricevere uno alla volta tutti gli uomini presenti alla riunione «et presentino alli detti signor Commissario et sacerdote una poliza nella quale sia scritto uno o più nomi di quello, o quelli che giudicasero secondo la lor coscienza esser tali che si meritassero esser nominati per scandalosi et mal viventi». Sigillate le polizze in una cassetta, il Commissario doveva provvedere ad inviarle a Lucca, «supplicando loro Eccellenze (gli Anziani) a voler far vedere se vi fussero alcuni nominati in dette polize al numero di diciotto, e quelli che si trovassero esser nominati in 18 polize, s'intendessero esser stati nominati per discoli, et li Eccellentissimi Signori li dessero quel castigo di bando o altro che piacesse loro ecc. acciò si emendassero della lor cattiva vita e non contaminassero gli altri con scandalo di quelli che vivono da uomini da bene con il timor di Dio» (72). Il numero dei discoli



(65) Ibidem, c. 17 v.

(66) Ibidem, c. 18 r.

(67) Ibidem, c. 18 v. Cfr. F. LERA, Lo Statuto , p. 251

(68) Ibidem, cap. 17, c. 19 v.

(69) Ibidem, c. 44 v.

(70) Ibidem, c. 45 v.

(71) Ibidem, c. 55 r.v.

(72) Ibidem, c. 46 v.


 fu poi ridotto da 18 a 12, con il decreto del 28 agosto 1650, per esser Ghivizzano «piccola Comunità» (73).

Opera della Chiesa

Tutti gli uomini della Comunità, maggiori degli anni 18, dovevano venire imbussolati per la scelta dei due operai della chiesa di S. Pietro di Ghivizzano. Nel mese di maggio veniva effettuata l'estrazione, ed i prescelti, entro quattro giorni, dovevano recarsi in Vescovato a Lucca «et ivi accettare detto loro offitio di operariato, dar pagatore et altre cose fare alle quali sono tenuti li operari segondo la forma della ragione et de' sacri canoni» (74). Il 9 giugno 1650 si decretò che chi non avesse accettato l'incarico dovesse pagare uno scudo di multa, segno evidente che gli impegni derivanti dalla carica e la gravosità del servizio avevano creato delle difficoltà e consigliato molti comunitativi a non accettare l'incarico


.

(73) Ibidem, c. 57 v.

(74) Ibidem, c. 31 r. e v. Altre norme, nello statuto più antico, riguardano l'Opera della Chiesa (cap. 29 e cc. 56 v.), i Censi della Comunità (cc. 50 v. e 52 v.), la pesca nel Serchio (c. 60 v.), i pesi e misure (c. 67 r.), i debitori (c..68 v.), il cordone sanitario in occasione delle epidemie (c. 69 v,), i molini (cc. 83 r. e 90 r.) e il rifacimento dell'Estimo (c. 109 n).

Pianta della fortezza


Progetto di sistemazione della piazza antistante

la fortezza di Ghivizzano del XVIII secolo


Particolare dell’estimo di Ghivizzano del 1667


Acque e strade XVII secolo




Commenti

Visitatori dal mondo

N.B.:Gli accessi dagli USA si riferiscono anche ad "accessi tecnici" del sistema