Il dottor Marino Chiesa


Nei primi giorni di Ottobre, precisamente il giorno 4, ricorre il centenario dalla nascita del dottor Marino Chiesa, una figura ancora viva nel ricordo di quanti lo hanno conosciuto e di coloro che hanno avuto la fortuna di essere seguiti da lui. Proponiamo di seguito una breve storia che lo vuole ricordare.


MARINO CHIESA - LA VITA

Marino Chiesa nacque a Fornaci di Barga il 4 ottobre 1919, da Francesco e Cesira Lucchesi, terzo di cinque figli.
Studiò a Livorno dai Salesiani al liceo Classico e poi si iscrisse a Medicina. A 19 anni conobbe Anna Maria Da Prato, che dopo 10 anni divenne sua moglie e gli diede tre figli.
Studiò all'università durante la guerra, fu anche chiamato al fronte a Ventimiglia, ma non combatté mai. Tornato a casa si laureò e iniziò a lavorare a Vergemoli, Calomini e Trassilico. Fu nel 1948 che si sposò e nel 1949 nacque il primogenito Francesco. Nel 1950 si trasferì a Ponte Coccia, sopra Bagni di Lucca e nel 1951 nacque la secondogenita, Maria Rosa. Nel 1952 vinse un concorso per una condotta. La scelta era tra Valpromaro, sulla via per Camaiore, e Coreglia, con sede a Calavorno.
Per rimanere vicino alla famiglia, scelse la seconda, dove rimase fino alla morte nel 1983. I primi tempi a Calavorno la famiglia abitò in affitto, poi nel 1963 acquistò un terreno dove fece costruire una casa, dove si trasferì nel novembre del 1964. Fino al 1958 la moglie insegnò a Tereglio, ma alla nascita della terza figlia, Michela (che lui chiamava "la figlia del trasferimento") ebbe il trasferimento a Calavorno dove rimase fino alla pensione. I suoi mutuati erano principalmente a Ghivizzano, Vitiana e Tereglio, ma seguiva anche persone fuori comune, come quelli di San Romano di Motrone. Aveva un ambulatorio a Calavorno sotto casa, uno a Ghivizzano, vicino al ponte a Rio e uno a Tereglio. Iniziò la carriera utilizzando una motoretta, poi comprò una topolino e in seguito una 600, l’ultima macchina fu una 126.
Nel tempo libero amava giocare al tennis, tanto che riuscì a far costruire un campo da tennis a Calavorno.
Molto attivo in politica, era un democristiano dichiarato, a volte si schierò apertamente, come ad esempio per lo spostamento delle scuole medie da Piano di Coreglia a Ghivizzano.
Amante dei viaggi e della fotografia, visitò tutta l’Italia, buona parte d’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente.

Il dott. Marino Chiesa è stato presidente del Circolo Tennis Calavorno, iscritto alla Federazione Nazionale Tennis, per vari anni partecipando a diversi tornei provinciali e locali (se ne parlerà in altro articolo).
Morì il 20 gennaio 1983 dopo sei mesi di malattia.


Marino con la Moglie Anna

Durante il servizio militare





IL BENEFATTORE
DOTTOR MARINO CHIESA

Da un articolo di Terra Lontana del 1983 del prof. Aldo Pellegrini
Il dott. Marino Chiesa era nato a Fornaci di Barga il 4 ottobre 1919 (terzo di cinque figli), aveva studiato nei collegi salesiani di Livorno e di Colle Salvetti compiendo il corso di ginnasio.
A Lucca al Liceo “Macchiavelli” aveva conseguito la maturità classica, passando a Pisa nella facoltà di Medicina e Chirurgia, dove si laureò nell’agosto 1945.
La prima condotta fu nel comune di Vergemoli in mezzo ad infinite difficoltà, non tanto per l’impervia zona in cui si poteva circolare a dorso di mulo o sul cavallo di San Francesco, quanto per le distruzioni subite dalla guerra. Poi nel 1950 passò alla sede di Giardinetto, nel comune di Bagni di Lucca, con varie frazioni da servire ed infine nel 1952 a Calavorno dove il medico si stabilì con la famiglia. Il suo nome si associa sempre, nella mente degli assistiti, alla figura del confidente, del consigliere, del consolatore. Ne al malato, ne ai familiari faceva pesare la sua reputazione d’intellettuale, ma usava parole comprensibili e le sue visite non si limitavano a operazioni di esclusivo accertamento diagnostico, non mostrava fretta, ma interesse e aveva parole sempre idonee a mettere le persone a proprio agio. Il suo Cristianesimo nel curare gli metteva davanti un malato piuttosto che una malattia, consapevole di quanto strettamente l’anima sia legata al corpo.
Amante dello sport a Ghivizzano diviene consulente medico della squadra di calcio, a Calavorno fonda l’associazione del tennis, successivamente iscritta alla Federazione Italiana Tennis. Trova il terreno e fa costruire il campo da gioco, gioca lui stesso dando l’esempio e segue i giocatori che poi parteciperanno e con successo alle gare provinciali.
Era amante dei viaggi che preparava con la massima cura armato di macchina fotografica e della cinepresa.
Ai suoi funerali il 21 gennaio 1983 nella chiesa di Calavorno erano presenti migliaia di persone in silenzio, composte, consapevoli d’aver perduto nel proprio medico un benefattore.

Da un articolo di Terra Lontana


Il giorno 22 febbraio 1983 nella Chiesa del Sacro Cuore in Ghivizzano, per desiderio della popolazione, il parroco don Claudio Ticcioni ha celebrato una Santa Messa in suffragio del dott. Chiesa. Sono state raccolte Lire 501.000 destinate alla Associazione Italiana per la ricerca dei tumori.
Si ricorda un amico che esercitava con serietà, capacità e dedizione ammirevole la professione e al quale si ricorreva per avere consiglio e sostegno morale nelle dure realtà della vita.
Forte di sani principi che avevano in lui profonda origine nella matrice cristiana seppe infondere fiducia e coraggio specialmente nei giovani e si adoperò in iniziative verso la pratica dello sport quale scuola di virtù.
Pure nel triste e immaturo finale volle offrire un altro magnifico esempio di attaccamento al dovere professionale con grande sacrificio per la malattia incalzante, unito alla manifesta cristiana rassegnazione.
L’estremo saluto fu reso da una grande folla nella chiesa di Calavorno e su molti occhi si sono viste spuntare lacrime di commozione: il “nostro dottore” ci ha lasciati!



Riportiamo una poesia dedicatagli dal sig. Paoli Frediano che riporta l’opera di un professionista serio, capace e profondamente umano.

Addio dottore

Addio, dottore, addio
Resta un ricordo il mio,
che ai figli miei dirò,
se mai vi arriverò.
Come una vecchia storia,
come una fiaba priva di gloria,
ricca soltanto di umiltà,
ricca d’amore e di carità.
Ultimo esempio di una generazione
di medici condotti nati per vocazione.
C’era una volta, così gli dirò,
c’era una volta un uomo che amò;
che amò per scelta, in ogni istante,
aprendo la sua casa ad ogni passante,
lasciando l’orologio in un cassetto,
pensando con l’amor che avea nel petto.
Girava nei paesi portando il suo sorriso,
che sempre ad ogni ora brillava sul suo viso.
La fine della fiaba la voglio immaginare:
davanti agli occhi ho un uomo vicino ad un altare.



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