RICORDI DI ALTRI TEMPI DI RINA FRANCESCHINI

 

RICORDI DI ALTRI TEMPI DI RINA FRANCESCHINI


Da un articolo dell’Eco di Ghivizzano del ottobre 1955 della maestra Rina Franceschini


Intorno a noi era la collina e la bella pianura inclinata leggermente verso il fiume non lontano. Erano campi e vigne che alternavano nella vicenda dell’anno, la polenta e il pane; erano gruppi di olmi e di pioppi e di gelsi, ciliegi e mandorli sereni che facevano la primavera bella come il velo fiorito di una sposa.

Eravamo a due passi dal campanile e i gruppi delle case che si tenevan compagnia lungo le mura, formavano il piccolo borgo e c’era tutto: La Chiesa, l’Asilo d’infanzia e la Scuola.

Accanto alla Chiesa, il campanile segnava la cronaca della vita parrocchiale, più distante il Cimitero; sotto l’Asilo, la nostra scuoletta tra campi e vigne.

Se penso a quella scuoletta del Borgo non posso dimenticare il muovere cadenzato degli zoccoletti di legno, delle scarpe chiodate sull’acciottolato della via, mani dondolanti e teste all’aria….

Un piccolo romanzo d’amore la vita della scuola, ma non sempre alle volte è il suo contrario, così come il male è il contrario del bene.

Quelle “birbe” che entravano in classe spingendo l’uscio a pedate con berretto sul naso, e quelli impolverati di gesso per le baruffe alla lavagna, portando baldanzosi tutte le novità del giorno: la mamma di Pierino ha comprato un bimbo stanotte...la sorella di Gigi domani si sposa...Nena s’è fidanzata con Gianni del Menno….

E intanto il campanile dava i rintocchi funebri per il bimbo che s’era spento e domani lo scampanio festoso per una marcia nuziale.

Ricordo il loro cantarellare sommesso nel fare il problema come in un soliloquio di speranza. Si muore, si nasce, ci si sposa, si ama, si soffre.

Tutto questo entrava nella mia scuoletta del Borgo dove quelle “birbe” salivano le scale a quattro gradini per volta; in quella stanza col terrazzino e una colonna nel mezzo e due finestrelle per occhi, sulla campagna.

Poi al di là del campanile, nell’assolato cimitero era andato a riposare anche quello del primo banco che aveva il grembiulino nero e il colletto bianco e quello giovinetto che portava già i calzoni lunghi e la cravatta azzurra e gli brillavano gli occhi intelligenti e buoni.

Erano semplici come agnelli, con la forza gentile e il corpo ben fatto, lo sguardo buono e posata bellezza.

Poi un giorno più giù, verso il Piano, era sorta una moderna Scuola. Forse non avevamo sperato tanto. C’era ancora troppo del vecchio mondo in noi per capire quello che ci avevano preparato di bello e di nuovo per la nostra vita.

Toni pareva sempre un piccolo vagabondo in cerca di un barattoli e di un grillo...Pierino non aveva più sua madre...Lello metteva i baffi….

Eravamo ancora poveri per quella scuola dalle finestre grandi e dalle vernici chiare; troppi di quei ragazzi capivano la miseria dei loro zoccoletti consumati, in confronto ai pavimenti lucidi e ai corridoi pieni di rispetto!

Ma quando la cima dell’antenna si colorò con i colori della Patria e il nostro Prete buonanima benedisse noi, in essa e in noi, l’avvenire, forse allora capimmo che al vita è tutta un divenire, tutta una trasformazione e un progresso, dentro e fuori di noi: oggi, domani, sempre.

La maestra Rina  Barsotti nei Franceschini

Da un articolo dell’Eco di Ghivizzano del marzo 1954 scritto dalla maestra Rina Franceschini

CONTADINE NOSTRE

Si chiami Adele, Maria o Menica la contadina nostra, è robusta, allegra, infaticabile malgrado le contrarietà che guarnisce la vita di ogni giorno.

Si sposano presto, per lo più a diciotto o vent’anni e fanno quasi sempre un matrimonio d’amore, d’amore vero, s’intende.

Si sente dire più volte: “Fra contadini, se non c’è affetto, insieme, non ci si mette.”

...dalla mattina alla sera le vedi sempre sfaccendare per casa e via, col rastrello e la cesta, andarsene nei campi e nelle selve ad aiutare il loro uomo, a far l’erba per le bestie; alzarsi con lui avanti giorno, appena albeggia e il gallo non s’è ancora svegliato.

Salute, lavoro e appetito: ecco i tre coefficienti indissolubili che pongono le contadine nostre tra l e lavoratrici di magnifica tempra, perché oltre il rendimento prodotto dalla terra c’è l’altro di inestimabile valore: la saggezza che procura serenità e si diffonde intorno ad esse e sulle loro famiglie.

Possono accadere disgrazie, lutti, tempeste che distruggono le fatiche di un anno intero; ci sarà lì per lì, dolore e sgomento, ma poi lentamente la vita riprende e subentra una pacata rassegnazione per ritornare alla consueta serenità.

...non fanno mancare nulla del vestiario e del nutrimento ai propri figliuoli; per essi vale proprio la pena di lavorare e di vivere, a costo di ogni più faticosa rinuncia per se; e tanto più intensa sarà la rinuncia e la fatica del lavoro, e tanta più alta la consolazione e la gioia.

...a primavera quando spunteranno sulla terra erbe e fiori e le giornate si faranno più tiepide e lunghe, si godranno certo con gioia il bel sole e con legittimo orgoglio canteranno:

Fiore di campo,

questo pane che mangio

a cuor contento,

è fatto di sudore

e me ne vanto”:

...è gioia e fortuna per esse, la voglia di lavorare che urge dentro loro, per il benessere di domani, è fortuna e premio la gioia del riposo e del guadagno onesto, il piacere che provano nel piegarsi lavorando sulla terra viva, la buona santa terra dei padri; gioia vivida e struggente che si spande poi nella quiete della loro casa serena.

Ghivizzano una volta

Da un articolo dell’Eco di Ghivizzano del febbraio 1956 scritto da Rina Franceschini

NOTERELLE DI PAESE

.nei tiepidi pomeriggi di febbraio se ne stavano i bimbi sdraiati sull’erba adocchiando sui cigli erbosi le prime viole, l’orecchio teso al canto della prima rondine. Le mamme sedute sulle prode con l’ago in mano intente a far rammendi e rattoppi.

.Tante braccia mancano per il lavoro: giovani e anziani, fatti arditi per il bisogno e spinti per un più sicuro guadagno, anche se più difficile e lontano tra gente diversa, non dimenticheranno mai il loro paese, nemmeno in capo al Mondo.

.per il successo dei video televisivi, specialmente nel periodo del Festival di Sanremo, la gente festante viene attirata nelle sale dei bar. Da Barsante, tutto il repertorio dei dolciumi e delle bottiglie più pregiate.

Da Mafalda, da Ida, da Assuntina gli utensili più belli e disparati: dai bottoni alla posateria di Rogers, alle ceramiche di Loveno, alle coppe di Murano. Da Settimo e da Ilda, le stoffe più pregiate, dai nomi strani: rodia, tuid, gersi limon e cotonate. Da Benigno, le calzature di gran moda. Da Mario, da Nello e dal Berti, scacchiere di barattoli e di sciroppi e marmellate, formaggi e mortadelle, sacchi di farina, castelli di sapone, scalini di cioccolate; il tutto servito con impeccabile e signorile buon gusto.

.la massaia tornava dal pollaio con le mani piene di uova e preparava la zuppa di verdura per la cena...dalla stalla il vitello chiamava la madre e la vacca rispondeva, i polli litigavano, segno che avevano avuto la razione.

...dai comignoli delle case il fumo saliva sottile contro i monti vicini mentre gli uomini ritornavano verso casa dove la cena era pronta. Lassù il campanile conservava un riverbero di luce rosata, presto le ombre invadevano la terra.

Panorama di Ghivizzano del passato







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