La Lunga Strada....una bella storia di Giulio Simonelli

 La lunga strada

(Racconto autobiografico)

premessa.....

Tutte le volte che incontravo Giuliano, la richiesta era sempre la stessa: -”…mi racconti un po' la tua vita sportiva che sto facendo un lavoro di memorie su Ghivizzano e vorrei raccontare anche la tua storia….”. Io rispondevo sempre in maniera evasiva, poco convinto di voler condividere i miei ricordi ed il mio passato “corsaiolo”. Poi, un sabato mattina, mentre ero affaccendato in garage con alcuni lavoretti, sento suonare il campanello. Vado ed è Giuliano, penso: -“…questa volta non me la scampo” ed in effetti mi fà: -“dammi dieci minuti che voglio spiegarti meglio di cosa ho bisogno”….e così ho ceduto, non sono stati dieci minuti ma un’abbondante mezz’ora, durante la quale mi ha convinto a preparare un po' di documentazione che mi riguardasse. Nei giorni successi, stimolato dai ricordi mentre raccoglievo: articoli, foto e quant’altro, mi sono detto: -“…ma guarda che bella storia sarebbe, raccontare cosa ha rappresentato la corsa nella mia vita e come mi ha accompagnato negli anni”. E per questo ho deciso di scrivere questo racconto che vuole essere meno celebrativo e ricorderà anche cose che non riguardano solo me, ma la vita del paese ed in generale anche di altre persone. Spero di non annoiare nessuno dei lettori a me piace scrivere e tendo a dilungarmi nell’esporre, ma abbiate pazienza: questa è la “Lunga strada”… della mia passione. Qualcuno probabilmente si riconoscerà nel racconto ma, per questioni di privacy, non ho fatto nomi. 

“La forza non deriva dalla capacità fisica, ma da una volontà indomita”

M. Gandhi



Non ricordo la stagione, forse era fine inverno. Sicuramente era il 1976 ed al Campo sportivo Carraia si tenevano i Giochi della Gioventù.

I Giochi della Gioventù era una manifestazione sportiva che coinvolgeva le scuole di tutta Italia in gare competitive nelle varie discipline e specialità. Nei comuni della Valle, in genere, si facevano i Giochi della Gioventù centrati sulle specialità dell’atletica leggera.

C’era la prima fase, quella appunto d’istituto, che decretava un vincitore per ogni disciplina, che passava poi ad una fase provinciale, alla quale partecipavano tutte le scuole della provincia,  per arrivare alla fase regionale ed infine: “le Finali a Roma”.

La maggior parte dei ragazzi delle varie classi della scuola media di Ghivizzano partecipava alle gare con “zero” possibilità di arrivare a Roma e tutti ne eravamo consapevoli. Se non altro perché venivamo a sapere dei Giochi solo qualche settimana prima dell’evento e potete immaginare con quale preparazione arrivavamo alle gare.

Una volta arrivata la comunicazione della data dei Giochi, il professore di ginnastica (a quel tempo non si diceva “Educazione Fisica”), iniziava le selezioni che più o meno funzionavano così: quelli grassottelli facevano lancio del peso, quelli alti salto in lungo o salto in alto, tutti gli altri: corsa. La corsa, alla scuola media di Ghivizzano, significava corsa campestre, ovvero qualche giro del campo sportivo Carraia.

Ecco, potete immaginare quanti di noi potessero pensare di arrivare a Roma con questo tipo di presupposti.


Anche io, come molti dei miei compagni, partecipai a quei Giochi della Gioventù del 1976.

A 12 anni ero ancora piuttosto basso, magrino e poco coordinato nei movimenti, insomma, l’antitesi dell’atleta. Ovviamente fui iscritto alla campestre (i famosi due o tre giri del Carraia).

L’allenamento, a parte qualche partita di pallone nel campetto davanti casa, si limitò a due o tre prove durante l’ora di ginnastica nelle due settimane prima dei Giochi.

Il giorno dei giochi, lo ricordo bene, piovigginava ed il Carraia, privo di un solo filo d’erba, era diventato un rettangolo di fanghiglia collosa che si attaccava alla suola delle scarpe formando un’argillosa suola supplementare. Ma tanto non avrei vinto sicuramente e quindi non mi preoccupavo delle ulteriori difficoltà, anzi, i più veloci potevano cadere e lasciarmi qualche possibilità di guadagnare qualche posizione.

Francamente non ricordo quanti eravamo al via e se eravamo stati divisi per età o meno, ricordo soltanto che dopo il primo giro ero penultimo ed il terzultimo si allontanava ad ogni passo, mentre l’ultimo mi ansimava alle spalle e soprattutto, nessuno cadde come avevo sperato. Ebbi il terrore di arrivare ultimo e questo mi dette le forze di tagliare il traguardo con un “onorevole” penultimo posto.

Dopo il traguardo mi piegai in avanti con le mani sui fianchi sbavando dalla fatica, la gola mi bruciava ed avevo lo stomaco in gola, ma quello che mi faceva più male era l’ironia di un mio compagno di classe sulla mia performance (si fa per dire…) sportiva. Lo guardai dritto negli occhi e nella mia testa partì un film: l’anno prossimo sarà diverso…..

Nel 1977 ci furono nuovamente i Giochi della Gioventù, il mio fisico era sempre un po' penalizzato, ero ancora in “ritardo tecnico di sviluppo”, ma c’era una piccola differenza rispetto ai Giochi del 1976, mi ero allenato con un minimo di metodo. Avevo due vicini di casa più grandi di me (due fratelli, dei quali non faccio il nome, sempre nel rispetto della loro privacy) che correvano e si allenavano con regolarità. Io cercai di imitarli e per alcuni mesi mi allenai regolarmente.

Il giorno della gara arrivai al Carraia con molta più aspettativa dell’anno precedente, ero cosciente che avrei fatto meglio dell’anno prima. La maggior parte dei partecipanti ricordava la mia performance del 1976, ma non sapeva che mi ero allenato, anche se, le scarpette da campestre che mi ero comprato ed una muscolatura delle gambe un pochino più evidente, ai più attenti avevano messo qualche dubbio.

Quel giorno c’era il sole, il Carraia era sempre senza un filo d’erba, ma non era fangoso e quindi non avevo nemmeno il vantaggio dei chiodi delle scarpette da campestre che ero l’unico ad avere, ma non importava, ora contava solo correre.

Questa volta ricordo bene come era la gara: tre giri di campo (che facevano circa mille metri) e questa volta, durante i mesi di allenamento, li avevo provati varie volte. Sapevo come regolare il passo e come gestirmi, anche se nessun adulto mi aveva allenato, avevo fatto tutto da solo cercando di carpire qualche informazione su riviste e libri (…non c’era intenet).

Alla partenza non eravamo allineati, non c’era spazio, ed io avevo sgomitato per non partire in fondo al gruppo ma non ero riuscito ad essere davanti, poi……Pronti….. Via!

Vi direi bugie se facessi la cronaca della corsa, perché non ricordo come andò durante la gara, ricordo solo che feci i primi due giri alle spalle dei primi due e nell’ultimo giro ne sorpassai uno ed arrivai secondo.

Ricordo benissimo chi arrivò primo (anche in questo caso rispetto la privacy) che, al di là delle doti atletiche, era praticamente un uomo e la differenza nel risultato era stata quella.

Ero felice, ma fui ancora più felice qualche giorno dopo, quando il professore di ginnastica mi comunicò che anche io avrei partecipato alle provinciali e non ricordo per quale ragione, perché in realtà avrebbe dovuto partecipare solo il primo. Ma non era importante, ero arrivato alla fase provinciale!


Anche in questo caso non ricordo esattamente quanto tempo dopo ci furono le gare Provinciali, ricordo che nel periodo che precedette la gara, cercai di allenarmi ancora meglio, grazie anche all’aiuto del professore che ci seguì direttamente. Anche se c’era una grande incognita: la pista. Sì, perché i 1000 metri alle Provinciali, si correvano in pista. Io non ci avevo mai fatto un passo……..

Il giorno della gara arrivai al campo CONI a Lucca molto emozionato, c’erano il professore ed i miei compagni qualificati e c’erano centinaia di ragazzi pronti per le gare. Anche in questo caso ero un po' il brutto anatroccolo della situazione, li vedevo tutti “fisicati”: alti, robusti e muscolosi. Ma che ci facevo lì?


Come potete immaginare, non riuscii a qualificarmi per la fase regionale, ma feci una gara dignitosa a centro gruppo, non arrivai nel gruppo dei primi, ma nemmeno in quello degli ultimi e soprattutto conobbi un ragazzo che correva per la Virtus che mi propose, per l’anno successivo, di entrare in squadra. Ero lusingato. La Virtus era ed è il massimo in provincia (ma anche in Italia, tutt’oggi…si pensi a Jacobs.).

Avrei iniziato le scuole superiori a Lucca proprio nel 1978 e questa poteva essere una buona opportunità.

In realtà non andò bene, perché feci qualche prova, praticando distanze tra i 400 e gli 800 metri, con risultati non sufficienti per essere competitivo e decisi di non proseguire.

Fortunatamente proprio in quegli anni nasceva il fenomeno del podismo di massa ed anche a Ghivizzano nacque il “Gruppo Marciatori Ghivizzano”, nel quale io entrai subito e questo mi permise di continuare e sviluppare la mia passione per la corsa.

Mi allenavo regolarmente e tutte le domeniche partecipavo a corse non competitive ed a qualche competitiva a livello regionale. Nel frattempo mi ero anche completato a livello fisico, in poco tempo ero cresciuto molto in altezza, sviluppato una buona muscolatura ed atleticamente avevo acquisito una fisicità da atleta.

Correvo distanze intorno agli 8-10 km, con risultati altalenanti ma con molto piacere di correre ed allenarmi con il gruppo di amici della domenica.

Poi, verso i sedici anni, come tutti i ragazzi iniziai a giocare a calcio nell’US Ghivizzano, ero alto e giocavo un po' in porta ed un po' stopper, a seconda di cosa c’era bisogno. Fisicamente ed atleticamente ero abbastanza dotato, ma tecnicamente lasciavo a desiderare.

Per alcuni anni alternai il calcio alla corsa, fino a che, iniziando a lavorare, dovetti definitivamente abbandonare il calcio e continuai a correre, anche se il Gruppo Marciatori Ghivizzano si sciolse e passai all’Atletica Bagni di Lucca dove rimasi molti anni.


Fino ai trent’anni continuai a correre, più per il piacere di correre che non per gareggiare, anche se qualche gara continuavo a farla ed avevo iniziato ad allungare le distanze con maggiori soddisfazioni, sia personali che di risultati.

Poi in una fase di crescita professionale piuttosto impegnativa, dovetti abbandonare la corsa per alcuni anni. La corsa mi mancava ma avevo altre priorità e seppur a malincuore a qualcosa dovevo rinunciare e decisi che, in quel momento, era la cosa giusta da fare.

Ma la mia passione per la corsa era sempre latente ed ogni tanto mi mettevo le scarpette e sbuffando come una vaporiera ed anche un po' sovrappeso, mi facevo quei “10 km di passione”.

Alla soglia dei quarant’anni la svolta. Per il mio quarantesimo compleanno decisi che era tornata l’ora di rimettermi le scarpette. Mia moglie per il mio compleanno mi regalò il “Garmin” (uno dei primi orologi satellitari da allenamento) e da lì partì il capitolo “corsaiolo” più bello della mia vita.

Il nuovo inizio fu molto faticoso, avevo la testa che andava ad un velocità ed il corpo che non era d’accordo.

Il 2004 ed il 2005 furono due anni in cui ripresi confidenza con la corsa e gli allenamenti, iniziai a prestare un po' di attenzione all’alimentazione, insomma: non ero più giovanissimo ed il mio fisico se n’era accorto.

Entrai a far parte dell’Atletica Porcari e durante il 2005 portai a casa qualche risultato interessante, chiaro, niente di eccezionale, ma le gambe ed il corpo in generale cominciavano a rispondere. Cominciavo a rientrare in qualche classifica in posizioni “divertenti”, insomma avevo ritrovato un minimo di “atleticità”. Corsi una mezza maratona in 1h25’ (tempo assolutamente irrilevante per atleti veri….) ed alcuni 10000 su strada tra i 38’ ed i 39’.

Nel 2006 partecipai ad un paio di maratone chiudendole sotto le 3 ore, che per un semplice amatore è un tempo rispettabile. Nel frattempo ero entrato a far parte del GP Alpi Apuane, un gruppo importante anche a livello nazionale e lì iniziai ad aver modo di confrontarmi con atleti importanti ed allenatori di un certo livello.

Fu così che conobbi Fulvio Massini, un tecnico veramente bravo. Con lui cominciai ad allenarmi in modo più professionale e convinto.

Dovetti sacrificare anche molto tempo libero, dovendomi allenare 6 giorni su 7, anche 2 volte al giorno e capirete che lavorando…..

I risultati miglioravano, io stavo sempre meglio fisicamente, ero molto soddisfatto.

Poi una domenica (non ricordo esattamente il giorno, ma era verso fine 2006) corsi una gara di una trentina di chilometri. Come da programma di Fulvio, il giorno dopo la gara avrei avuto un defaticante di 5-6 km. Così mi preparai per l’allenamento: indossai il mio Garmin, presi la borraccia con un po' d’acqua e via….

Andai verso Calavorno, poi continuai verso la Fegana ed iniziai a salire. Quando arrivai al bivio di Vitiana, pensai: -“continuo fino a Tereglio”. Arrivato a Tereglio mi dissi: -“scendo da Lucignana”. Quando fui a Lucignana mi venne voglia di passare da Gromignana e poi da Coreglia. Scesi verso Piano di Coreglia e tornai a casa. Avevo corso, con tutte quelle salite e discese, per 32 km, dopo che il giorno prima avevo corso una gara da 30 km.

Stavo bene. Chiamai Fulvio, gli raccontai il fatto e lui, molto semplicemente, mi disse: -“O sei un coglione, oppure devo capire……vieni sabato qua a Firenze che facciamo un po' di test e semmai cambiamo programmi”.

Così feci, il sabato seguente andai da lui, facemmo dei test e preparò un programma di allenamento improntato alla resistenza. Avremmo dovuto rivederci dopo 40 giorni e fare altri test.

Dopo 40 giorni feci altri test. Alla fine Fulvio sentenziò: -“sulla velocità sei veramente scarso, ma sulla resistenza mi hai fatto impressione – continuò – hai anche l’età giusta per le lunghissime distanze, proviamo ad allenarci per distanze “ultra””.

Da lì cominciò la mia avventura.

Nel 2007, dopo alcuni mesi, nei quali avevo seguito un programma improntato alla resistenza, Fulvio mi propose di partecipare ad una gara a tappe in Istria. Non avevo mai gareggiato per tre giorni consecutivi, ma avrei fatto esperienza. In realtà arrivai 4° a soli 10 secondi dal podio. Peccato, ma mai ero arrivato così vicino al podio fino ad allora.

Continuai a gareggiare su distanze sempre più lunghe ed in particolare trail in natura, raggiunsi buoni risultati e qualche podio.  

Poi iniziai a pensare a gare un po' particolari, ambientate in contesti suggestivi come il deserto.

Mi iscrissi alla “100 km del Sahara” del 2008, una gara che in realtà era di 113 km, che veniva corsa in tre giorni nel deserto del Sahara Tunisino. Bellissima! Centinaia di atleti provenienti da tutto il mondo, le tappe che finivano in campi base con tende berbere per dormire, un’atmosfera magica.

Quell’anno tra gli italiani c’erano atleti importanti: Ivan Zufferli, un’ultramaratoneta con un bel palmares di vittorie. Davide Cassani , ex ciclista dedicatosi alla corsa. Ed infine: Orlando Pizzolato, vincitore, tra le altre, della Maratona di New York.

Una cosa curiosa: durante una delle tappe, che chiusi classificandomi 8° nella classifica di tappa, sull’ultime dune prima dell’arrivo, sorpassai proprio Pizzolato. Mi sembrava di fargli uno sgarbo troppo grande nel sorpassarlo, per questo, in quel momento, nemmeno lo guardai e quando dopo pochi minuti arrivai al traguardo, lo attesi per chiedergli scusa….lui mi guardò e mi disse: “Ma sei matto? Non devi chiedere scusa. Questa è una gara!”…..forse l’avevo offeso proprio chiedendogli scusa.

Conclusi la “100 km del Sahara” al 9° posto assoluto. Secondo degli italiani, davanti a me solo Zufferli e dietro di me Cassani e Pizzolato. Dopo un mese mi arrivò a casa una rivista della IAAF (la Federazione Internazionale dell’Atletica Leggera) dove era stilata la classifica dei primi dieci della gara e c’era il mio nome. Che soddisfazione!

Capii che il 2008 era il mio anno e decisi che dovevo partecipare anche ad una “non stop”. E così scelsi la “Boavista Ultramarathon”, una gara che si correva nell’Isola di Boavista a Capoverde. 150 km, dei quali moltissimi corsi sulla sabbia,  ad orientamento ed in autosufficienza alimentare.

Lavorai molto e bene per quattro lunghi mesi, facendo una media di 750 km al mese di allenamento.

A dicembre la gara. Ero consapevole di stare bene e che avrei potuto fare un buon risultato, ma andai oltre le mie stesse aspettative….

La gara partiva la mattina alle 7.00.

Alle 5 e poco più del giorno successivo, dopo aver attraversato: deserto, spiagge, canyon e colline rocciose vidi le luci della città che mi aspettavano. Ero primo e stavo per vincere la “Boavista Ultramarathon”.

Quando vidi lo striscione mi sembrò di volare, ed erano 22 ore che correvo…..Mia moglie mi aspettava con la medaglia che mi fu messa subito al collo. Lì capii il vero significato delle parole: “forza di volontà”. Avevo superato i miei limiti.

Continuai negli anni successivi la mia carriera sportiva con gare “ultra” di vario genere. Ebbi qualche infortunio di troppo, ma non mi arrendevo all’età e decisi di partecipare, nel 2010, ad un’altra gara estrema in Oman. Era una gara di 160 km da percorrere in 4 tappe, quindi circa una maratona al giorno e questo non sarebbe stato niente in confronto al tipo di percorso.

Prima tappa da quota 0 metri, si partiva dal mare, a quota 3000 metri. Bellissimi altopiani, ma immaginate correre per 30 km al 10% di pendenza media, con punte del 15%.

Seconda tappa da quota 3000 metri a quota 0. Immaginate dopo aver fatto il giorno prima 40 km in salita, dover corre per 40 km in discesa! Quel giorno le gambe mi bruciavano come se avessi il fuoco dentro i muscoli. Non so come ma arrivai, seppur allo stremo… ma arrivai.

Le ultime due tappe da 40 km, tanto per non farsi mancare niente, erano nel vero deserto sabbioso dell’Oman. Alla fine terminai al settimo posto. Non molto soddisfatto, prima di tutto perché ero distrutto fisicamente, poi perché puntavo al podio e non ci ero riuscito.

Ma mi mancava ancora qualcosa per completare le mie esperienze “estreme”: il freddo estremo.

E così decisi di iscrivermi alla “Polar Circle Marathon”, la maratona più fredda del mondo che si svolgeva interamente all’interno del Circolo Polare Artico sulla distanza classica dei 42,195 km.

Mi posi come obiettivo di concludere la gara, non puntavo certamente al risultato, era il 2011 ed avevo già 47 anni.

Un’esperienza surreale. Arrivammo in Groenlandia atterrando (non so come) su una pista ghiacciata a bordo di un piccolo aeroplano che partiva dalla Danimarca e portava 30 atleti per volta.

Ci sistemarono in una ex base militare che era diventato il punto di partenza per escursioni di carattere scientifico e lì io ed un altro centinaio di atleti provenienti da 19 diverse nazioni, compresa la Nuova Zelanda, aspettammo per due giorni il via della gara.

Arrivò il fatidico giorno. Avevo fatto un paio di uscite nei giorni precedenti per capire meglio….ma cosa dovevo capire? La temperatura era sempre 20 gradi sotto zero… ma cosa mi era venuto in mente! Cominciai a dubitare di me stesso e della voglia che avevo di fare la corsa. Ma ormai ero lì.

Arrivammo allo striscione di partenza che distava alcuni chilometri dalla base, a bordo di mezzi militari adatti a camminare sul ghiaccio e sulla neve. Aspettammo il via all’interno dei mezzi. Non potevamo scendere e “scaldarci” per molto tempo. Ci avevano dato queste indicazioni: “Quando arriviamo al punto di partenza avete 10 minuti per prepararvi, si scende dai mezzi e dopo altri 10 minuti c’è il via”.

E cosi fu. Quando stavamo per scendere dal mezzo ci comunicarono la temperatura: -35°!

Credetemi, correre con il caldo (ho corso a +45°) è dura, ma con quel freddo è terribile.

Pronti, via! Mi trovai in fondo al gruppo. Non riuscivo a stare in piedi, il ghiaccio mi stava giocando un brutto scherzo. Dovevo fare i primi chilometri cercando di non perdere troppe posizioni, poi sapevo che ci sarebbe stata neve morbida a me più congeniale. Infatti, non ricordo quanti chilometri dal via, arrivai sulla neve battuta. Ero in fondo al gruppo ed alcuni atleti di testa erano già scappati. Ma non era un problema, non ero lì per i primi posti.

Capii anche perché non riuscivo a stare in piedi sul ghiaccio, avevo perso il rampone ad una scarpa, mi tolsi l’altro che sulla neve non serviva più e ripartii con un passo decisamente più incisivo.

In effetti la neve battuta era un terreno perfetto per correre ed in pochi chilometri risalii molte posizioni in classifica. Avevo avuto solo un problema con la protezione che mi ero messo davanti alla bocca per proteggermi. Il respiro aveva fatto condensa e si era ghiacciato e mi si era attaccato al mento, così nello staccarla si portò dietro la pelle, ma con quelle temperature ero anestetizzato e non sentii alcun dolore.

Più i chilometri passavano, più stavo bene. Intorno al 30° chilometro ero già nei primi 10, incredibile. Non ci avrei mai pensato ed i sorpassi continuavano. Mi ero fatto l’idea di averne sorpassati almeno 4, così pensai di essere 6° o 7°.

Arrivato all’ultimo check point al 35° km, chiesi come ero in classifica. La risposta fu la peggiore che mi potesse essere data: -“Sei 4°….”.

Nooooo……4° no! Medaglia di legno! Mi sarebbe rimasto per sempre il rammarico ed il pensiero di non aver dato tutto per essere sul podio. Poi ripresi a correre, comunque dovevo portarla in fondo.

Al km 37, in un punto dove si vedeva l’orizzonte bianco immacolato, vedo un puntino nero…..era il terzo in classifica….

Vai Giulio: volare! Come se la gara fosse appena iniziata. Non so come, ma trovai nuove energie, le gambe giravano, i polmoni non bruciavano più. Avevo solo un obbiettivo: riprendere il “puntino nero”….

Dopo 3 chilometri ero alle spalle del terzo. Lui era “cotto”, io ero entrato in uno stato di trans agonistica che aveva anestetizzato ogni fatica.

Lo sorpassai a velocità doppia, lessi nei suoi occhi la disperazione di chi era ad un passo dal podio e lo aveva irrimediabilmente perso, sensazione che peraltro ben conoscevo per esperienze dirette.

Al traguardo il manipolo degli organizzatori mi fece festa ed io piansi.

Avevo 47 anni, ed arrivare sul podio a quell’età fu una soddisfazione immensa.

Seppi poi che l’atleta che avevo sorpassato era il rappresentante della Groenlandia… ed aveva l’età di mio figlio.

Dopo un mese dalla gara pensai che era arrivato il momento di smettere, il mio fisico cominciava a dare segnali di cedimento, fu così che decisi di non gareggiare più.

Nel 2012 iniziai la carriera di allenatore, non potevo stare lontano dalla corsa. Presi il patentino FIDAL (Federazione Italiana Atletica Leggera) e cominciai ad allenare atleti per le lunghe distanze.

Poi, un mio amico residente a Boavista, mi coinvolse in un progetto a Capoverde (dove ero ben ricordato ed io stesso avevo bei ricordi) ovvero: fare una squadra di atleti specializzata in lunghe distanze.

Coinvolgemmo anche la Federazione di atletica capoverdiana, con la quale iniziammo il progetto per partecipare a competizioni internazionali con una vera e propria nazionale.

Il progetto ebbe successo, facemmo selezioni e stage nelle isole dell’arcipelago per reclutare atleti, riuscendo a mettere insieme buoni atleti.

Dall’anno successivo partecipammo a varie gare internazionali e ad alcuni mondiali, raggiungendo nel 2014 il 14° posto assoluto ai mondiali 100km a Doha in Qatar che, per una nazione di poco più di 550.000 abitanti, fu un risultato storico considerando che alle nostre spalle arrivarono: Canada, Argentina, Austria e molte altre nazioni.

Nel 2016 decisi di chiudere anche questo capitolo. Questa volta la “mia strada” con la corsa finiva.

Tutto era iniziato nel 1976 e dopo esattamente 40 anni, dopo tante belle cose, era arrivato il momento di chiudere questo capitolo di vita.

Oggi mi chiedo cosa sarebbe stata la mia vita senza la corsa, se in quel lontano 1976 la delusione del penultimo posto mi avesse convinto che la corsa non era il mio sport.

Spero che qualche giovane abbia avuto la voglia di leggere questo racconto, in quel caso vorrei che cogliesse la morale:

 Quando hai davanti a te un’opportunità che ti appassiona e per la quale pensi valga la pena faticare per raggiungere un obiettivo, non ti arrendere di fronte alle difficoltà ed agli insuccessi.

Se quella è la strada, continua a percorrerla. Cadi e rialzati. Cambia i modi di affrontarla, ma vai avanti!

Stai sicuro che prima o poi, lungo la strada, troverai quello che cerchi.


Da un articolo del 2008


Giulio Simonelli ha vinto al “Boa Vista Ultramarathon”

   

   Nel dicembre 2008 il nostro compaesano Giulio Simonelli ha finto una delle gare più originali e massacranti del calendario delle ultramaratone internazionali, che si svolge  nell’arcipelago di Capo Verde per una ssfida di 150 km non-stop da sostenere nel tempo limite di 50 ore.

   Giulio, insieme all’amico e compagno di fatiche ed allenamenti Sergio Cocuzza, ha impegnato a percorrere i 150 km 22ore e 15 minuti e così commenta: “Una fatica ripagata oltre che dalla vittoria, da scenari stupendi: tratti di mare lambiti dal deserto, paesaggi lunari, terre arse dal sole, vegetazione aggrappata alla vita per poche gocce d’acqua, animali notturni liberi nella natura ed un cielo stellato che non si può descrivere. Nelle oltre 22 ore di gara, io e Sergio al 130° km abbiamo perso la pista e ci siamo fatti 11 km “extra” ma proprio in quel momento abbiamo spinto al massimo senza mai mollare. Siamo arrivati al traguardo con 1 ora e 48 minuti di vantaggio sul terzo. All’arrivo, quando è stata mia moglie Silvana a mettermi la medaglia al collo, la felicità che provavo, seppur stremato, è stata fortissima”



Da un articolo del 2009

    Giulio Simonelli racconta che la passione per la corsa nasce a 14 anni con il Gruppo Marciatori di Ghivizzano e dopo alti e bassi a 40 anni ha deciso di fare sul serio  entrando a far parte del GP Alpi Apuane.

   Ricordiamo tra le tante il 5 posto assoluto in Croazia alla “Istria a tappe”; poi la “100 km del Sahara”dove era andato con l’intento”solo” di finirla ed invece ha chiuso al 9° posto assoluto, 2° degli italiani….e pensate ha battuto un certo Orlando Pizzolato (due volte vincitore della maratona di New York)

   Giulio ricorda che gli stimoli per certe gare sono molti, ma soprattutto uno: alle sue competizioni ha legato un progetto umanitario con il dottor Lido Stefani in Rwanda e tutti u soldi dei suoi sponsors vanno a finire lì.

    Insomma merita il ringraziamento e le congratulazioni da parte di tutto il paese.

   


 Da un articolo di Terra Lontana del 2011


   L’atleta Giulio Simonelli, nostro compaesano, dopo aver sfidato i deserti sabbiosi e le temperature torride di tutto il mondo, questa volta ha voluto cimentarsi nel freddo polare della Gorenlandia, partecipando alla “Polar Cicle Marathon” e classificandosi addirittura al terzo posto.

   Dopo aver partecipato a varie gare di ultra maratona e corsa estrema, classificandosi sempre tra i primi dieci  e dopo aver vinto nel 2008 la “Boavista Ultramarathon” una delle gare più dure al mondo (150 km nel deserto) in 22ore è 18’(primo italiano a vincere questa gara); è arrivato settimo alla ultra trail in Oman (164 km in 5 giorni con 6.000 metri di dislivello positivo e temperature da O° a 40°)

   Il 22 ottobre 2011, Giulio ha deciso di sfidare  anche il freddo in quella che è la maratona più fredda al mondo (42 km. Nei ghiacciai del circolo polare artico con temperature che sfiorano i -30°).  Giulio, “l’uomo di ferro”, così lo chiamano i suoi amici, ha sbaragliato i pronostici e dopo una gara tutta in rimonta ha raggiunto e superato  al 38° km il 3° concorrente  conquistando un incredibile bronzo!

Non si pensi che questi risultati sia frutto del caso o solo di doti naturali, chi gira la Valle del Serchio, spesso si imbatte in questo personaggio che macina chilometri di corsa, armato solo di scarpette, borraccia e buona volontà, pensate in un anno si allena percorrendo quasi 6.000 km.

   Insomma un nostro concittadino che porta in alto il nome del nostro piccolo paese nel mondo.







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