 |
Dipinto del dott. Stefanutti |
La Funicolare di Ghivizzano
Nei primi anni del 1900 i boschi erano raggiungibili esclusivamente “a piedi”, percorrendo stretti sentieri, pieni di difficoltà. Impossibile, quindi trasportare a valle il legname per la sua commercializzazione. Questo problema fu risolto dal Sig. Jean Varraud, proprietario dello stabilimento per la produzione di estratti tannici, sito in Fornoli e tutt’oggi chiuso, denominato “A.L.C.E”. Il castagno, ricco di tannino, era la materia prima essenziale per il funzionamento di quell'impianto. Quindi, per trasportare le legna giù dai boschi, Varraud progettò la costruzione di teleferiche che entrarono in funzione nei primi anni venti e furono attive fino ai primi anni sessanta.
Una teleferica fu costruita nella valle della Lima, una nella valle della Torrite, una nella valle della Corsonna e una nelle valli dell’Ania e del Segone. La teleferica fu progettata dall’Ing. Polloni, proveniente dal Piemonte e era composta da due cavi portanti in acciaio di circa tre centimetri di diametro e da due cavi traenti in acciaio di circa un centimetro di diametro. La partenza della teleferica era nel piazzale adiacente a via Gattoline, in Ghivizzano. Lì esisteva una grande tettoia sotto la quale era stato istallato un potente motore, azionato dall'energia elettrica, dal quale i cavi traenti ricavavano la forza necessaria per trascinare le carrucole con le cariche di legna. Il motore elettrico era manovrato da Pierotti Antonia detta “Tona” che era la suocera di Pieri Lorenzo, caposquadra degli operai addetti allo scarico e accatastamento della legna sul piazzale e a riattaccare le carrucole vuote sul cavo di ritorno al punto di carico della teleferica. Il lavoro svolto nel piazzale di Ghivizzano era considerato, dagli operai, il più faticoso. La linea principale, da Ghivizzano a Bacchionero era lunga circa 35 km.
La manutenzione della linea principale era a carico della ditta Varraud mentre gli operai addetti al funzionamento della teleferica, la costruzione delle linee secondarie e i boscaioli addetti al taglio e sezionamento delle piante, dipendevano dalla ditta Carlo Orsi e figli di Barga che aveva avuto in gestione tale attività. I castagni, anche di grandi dimensioni, venivano abbattuti con l’uso delle “accette”: un boscaiolo tagliava da un lato della base di un castagno, un secondo dall'altro lato. A volte veniva usato il “segone” (striscia di acciaio dentata, di lunghezza variabile, con due manici di legno alle estremità, azionata faticosamente da due operai). La legna, privata della corteccia, era chiamata “legna bianca” ed era quella di maggior pregio; dopo essere stata spaccata in “stiamponi” con l’uso del “mazzo” e delle “zeppore” veniva estratto il tannino. Il “mazzo” era un grosso martello del peso da tre a sei chilogrammi di legno di leccio e le “zeppore” sono cunei di ferro di svariate misure. La legna ottenuta dai rami delle piante era detta “legna nera” e veniva usata o per fare il carbone o venduta come legna da ardere. La legna cosi prodotta veniva trasportata vicino alla teleferica con i muli, mentre il carbone veniva messo in grosse balle dette “magone” che sovente superavano i cento chili di peso. Alla partenza si facevano le “cariche”, in genere del peso di due quintali e mezzo, che venivano attaccate alle carrucole e iniziava cosi il viaggio delle legna o del carbone verso Ghivizzano. Durante una giornata di lavoro (10 ore) senza intoppi si trasportava a Ghivizzano fino a 500 quintali di legna.
Per segnalarsi problemi sulla linea si usava una “trombetta” (vedi foto). Uno squillo significava “fermata provvisoria”, due squilli “Pronti a ripartire”, più squilli “strombettata” il guasto era grosso e si doveva sospendere il lavoro. Il personale impiegato per i lavori di esbosco e per il funzionamento della teleferica era di circa settanta persone. Negli anni trenta la paga di un operaio (10 ore di lavoro) era di otto lire mentre negli anni cinquanta era di ottocento. La teleferica funzionava solo con il tempo bello e dal 1 di ottobre fino al 30 novembre si sospendeva l’attività perché tutti si dedicavano alla raccolta delle castagne. L’attività fu sospesa per tutta la durata del secondo conflitto mondiale. L’ultimo della famiglia Orsi a gestire l’attività fu il compianto Oreste, benvoluto e apprezzato da tutti. Si deve registrare, purtroppo, anche un incidente mortale: il 19 maggio 1934 un operaio, passando sotto un cavo della teleferica, rimase agganciato con il gancio del pennato che aveva in vita e trasportato in alto per un bel tratto, per poi cadere, in un punto piuttosto alto. Purtroppo, fino ad ora, non si è trovato nessuna fotografia e ci dobbiamo accontentare di un bel ritratto fatto dal dottor Stefanutti nel 1948.
 |
Traliccio della funivia |
 |
Carrucola per agganciare il carico |
 |
Ganci Vari |
 |
Ganasce di aggancio al cavalletto per il filo portante |
 |
Dott. Edoardo Stefanutti. Un suo disegno ricorda la funicolare (unica immagine) |
 |
Carrucola per tirare da un solco il carico |
 |
Gancio di trasmissione |
 |
Dipinto dal dott. Stefanutti |
 |
Aggancio
La funicolare e il
suo funzionamento
Mentre
dai tronchi del castagno, “legna bianca” si estraeva il tannino
con il legname dei rami delle piante si utilizzava per fare il
carbone (legna nera) o per la vendita di legna da ardere.
La
legna prodotta veniva trasportata vicino alla teleferica mediante
l’uso di muli e dove i luoghi lo permettevano mediante piccole
teleferiche dette “va e vieni” e nel dopoguerra, dai “filetti a
sbalzo”. Le cariche era di circa due quintali e mezzo e venivano
attaccate alle carrucole e “appilate” con l’uso di una leva di
legno con attaccata una catena munita di gancio per sollevare il
carico mentre il cavo traente veniva stretto fra due anelli di ferro
della carrucola. A quel punto iniziava il viaggio verso Ghivizzano.
Quando
le cariche giungevano agli intermedi venivano “spillate”
(si
aprivano gli anelli che trattenevano il cavo traente) e trasferite su
un binario in ferro fissato al bordo dell’impianto, erano spinte a
forza di braccia e “riappilate” al cavo traente dalla parte
opposta.
A
sorvegliare il buon andamento della teleferica c’erano quattro
guardalinee: il primo sorvegliava il tratto da Ghivizzano fino
all’intermedio della “Provatora”. Il secondo dalla “Provatora”
fino alla “Pianellina”, il terzo dalla “Pianellina” fino
all’intermedio della “Ferriera” e il quarto dalla “Ferriera”
fino a Bacchionero.
L’impianto
centrale era a Ghivizzano in via Gattoline e funzionava con un grosso
motore elettrico, istallato sotto un capannone e vicino a questo
c’erano altri capannoni dove si ammassava la legna e col carbone. Il
legname veniva via via caricato e trasportato con barrocci trainati
da cavalli e portato a Fornoli.
Per
arrivare nei boschi si doveva andare a piedi e a volte i lavoratori
si fermavano in una capanna e si accampavano per tutta la settimana,
tornando a casa il sabato per riposarsi e stare con la famiglia. Al
lunedì si ripartiva portando con se le provviste per tutta la
settimana successiva.
|
Commenti
Posta un commento
I commenti sono moderati.
Lo scambio di opinioni deve servire ad un confronto costruttivo
Sono ammesse le critiche, soprattutto se seguite da suggerimenti.
Non sono in nessun caso tollerate offese, ingiurie, attacchi ad personam, linguaggio volgare e comunque non ritenuto consono ad un ambito parrocchiale